lunedì 31 dicembre 2018

Spider-Man: Un Nuovo Universo - la recensione

Quanti Spider-Man esistono? Innumerevoli, probabilmente. Realtà che i fan dei fumetti Marvel sanno molto bene, e fatto che ora finalmente approda anche sul grande schermo nel film Spider-Man: Un Nuovo Universo.

Miler Morales padroneggia come protagonista di questo lungometraggio animato diretto da Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman.
Affiancato da altri Spidey provenienti da altre realtà (un Peter Parker attempato, Spider-Gwen, Spider-Ham, Spider-Man Noir e Peni Parker) il giovane Miles, appena morso da un ragno radioattivo, sarà "costretto" a fare i conti con le note responsabilità di un supereroe, crescendo e abbracciando il suo destino.

Inutile sottolineare la straordinaria grandezza estetica del progetto realizzata con una tridimensionalità inedita che fa catapultare letteralmente lo spettatore nelle pagine di un fumetto, avvolgendolo e meravigliandolo in ogni singola inquadratura.

Il progetto Ragno-Verso non è da sottovalutare. In molti lo stanno già definendo il miglior Spider-Man mai approdato al cinema, ed anche il miglior film dell'anno. Vero o meno, Spider-man: Un Nuovo Universo denota una grande innovazione e un coraggio che (soprattutto nei nostri tempi costellati di sequel, prequel, reboot ecc..) in pochi posseggono. L'immaginario scorre per quasi due ore come se stessimo sfogliando un vero e proprio fumetto cartaceo. Con Into the Spider-Verse siamo di fronte al primo vero cinefumetto approdato al cinema? Vedere per credere.



sabato 29 dicembre 2018

Bird Box - la recensione

L'apocalisse e i dubbi di una madre, Susanne Bier si mette al timone di un horror fantascientifico per Netflix, in cui spicca una bravissima Sandra Bullock.

Una drammatica e inspiegabile serie di suicidi scuote il mondo, a provocarle è una misteriosa entità che, se la guardi, ti mostra qualcosa di terribile spingendoti ad ucciderti in modo violento. Melorie è al nono mese di gravidanza ed è tra i pochi sopravvissuti, rinchiusa in una casa insieme a degli sconosciuti. Nessun contatto con l'esterno è permesso, le finestre sono sbarrate, anche solo uno sguardo potrebbe essere fatale.
Salto temporale di cinque anni, Melorie è su una barca insieme a due bambini, l'entità è ancora presente e pericolosa, per questo tutti e tre sono bendati, e devono scendere lungo il fiume per cercare salvezza.

La storia si svolge su due piani temporali che si intrecciano per tutta la durata del film. Due situazioni completamente opposte, una al chiuso e una all'aperto, ma con lo stesso fine: sopravvivere. 
Susanne Bier si confronta con un genere nuovo per lei, quello apocalittico fantascientifico non è il suo campo e in alcuni momenti del film questa poca confidenza col genere si nota, molto meglio quando deve affrontare i dubbi personali di una donna, incinta e poco incline alla maternità. C'è qualcosa di atipico nel personaggio di Melorie, non si vede spesso una donna che tratta la propria gravidanza con così tanta diffidenza, senza nascondere la poca voglia di essere madre, la poca voglia di condividere con tutti, compreso il bambino che porta in grembo. Per questo il percorso personale emotivo di Melorie alla fine risulta molto più incisivo del lato horror della storia.

Se Melorie è il vero cuore pulsante del film, il merito è in gran parte di un'ottima Sandra Bullock, eroina inarrestabile, spesso dura, che deve imparare ad affrontare e superare le proprie paure, una donna poco incline alla maternità che darà tutta sé stessa per salvare la vita di due bambini. Per metà film è incinta, per l'altra è quasi sempre bendata, Sandra Bullock si carica il film sulle spalle e lo porta avanti con una prova matura e davvero convincente.
Nel cast di supporto spicca un fantastico John Malkovich.

Vedendo il film è facile fare un'associazione con A Quiet Place, dove era vietato fare rumori per non attirare le creature, mentre in Bird Box è vietato guardare per evitare di uccidersi, ma le similitudini tra i film finiscono qui, sono due film paralleli che non s'incontrano. In Bird Box non c'è niente che non abbiamo già visto in altri film o letto nei libri di Stephen King, le situazioni e i personaggi tipici del genere ci sono tutti, ma quello che il film fa, lo fa bene, e il risultato è un buon horror/thriller fantascientifico che intrattiene lo spettatore nel modo giusto.

Il Ritorno di Mary Poppins - la recensione

A 54 anni dall'originale, torna al cinema la tata più famosa della storia, Mary Poppins, in un sequel che è anche un grande omaggio al film del 1964.

E' il 1930, in piena depressione, Michael e Jane Banks sono ormai cresciuti: Jane è una sindacalista single, mentre Michael è un vedovo con tre figli. Michael vive ancora al numero 17 di Viale dei Ciliegi ma rischia di perdere la casa a seguito di un avviso di pignoramento della banca in cui lavora (la stessa del padre). Insomma, tira una brutta aria, per questo, dalle nuvole, appare Mary Poppins, pronta ad occuparsi di nuovo della famiglia Banks.

Fin dall'annuncio, Il Ritorno di Mary Poppins ha scatenato il dibattito tra nostalgici e "possibilisti", e l'uscita del film non ha di certo placato gli animi. Fare paragoni tra i due film è quasi inevitabile, viene spontaneo e il sequel gioca molto con le citazioni, ma è giusto paragonarli? L'originale è una perla inarrivabile, con un cast perfetto, musiche e canzoni che hanno fatto storia, e a suo tempo il film stupì tutti con il mix di film e animazione, attori in carne ed ossa che interagivano con personaggi animati, espedienti che oggi vediamo in centinaia di film. L'effetto stupore quindi era praticamente impossibile per il sequel, perciò si è deciso, giustamente e inevitabilmente, di puntare su altro. Il Ritorno di Mary Poppins ha una storia nuova, più moderna, anche più realistica (la crisi economica), meno "leggera", ma con una struttura che ripercorre, quasi fedelmente, il film originale.

La messa in scena, i costumi, le scenografie sono eccezionali, studiate nei minimi particolari. Il Viale dei Ciliegi di casa Banks è stato ricostruito in un modo talmente perfetto che rivederlo non può che provocare un brivido di emozione nostalgica. Ottima la scelta di rendere Londra più plumbea rispetto al film originale, più cupa, adatta al periodo di crisi economica.
Alla regia Rob Marshall, uno che di musical se ne intende, e infatti i numeri musicali sono spettacolari. Sicuramente a colpire di più, ancora una volta, la parte che vede i protagonisti interagire con l'animazione.
Bella la colonna sonora, riprende sapientemente i temi dell'originale.

Ottimo il cast, che può vantare nomi di alto livello come supporto ai protagonisti: Colin Firth, Julie Walters, Meryl Streep (che dà l'impressione di essersi divertita molto), fino alle piccole ma memorabili partecipazioni di Angela Lansbury e del mitico Dick Van Dyke, che riporta la leggerezza del film originale. Ben Whishaw è un George Banks, caratterialmente tanto simile quanto diverso dal padre. Emily Mortimer, che ha meno spazio del "fratello", è straordinariamente somigliante nelle espressioni alla piccola Jane del film originale. Buona la prova di Lin-Manuel Miranda.
La sfida più ardua però era senza dubbio quella di Emily Blunt. Ci voleva coraggio per accettare un ruolo così iconico e radicato nella memoria della gente, perché nell'immaginario collettivo (degli adulti) Mary Poppins è Julie Andrews. Non era facile, ma Emily Blunt, attrice di straordinario talento (molto sottovalutata fino ad oggi), è riuscita a superare la prova brillantemente. In modo molto intelligente, l'attrice non ha minimamente copiato la Mary Poppins di Julie Andrews, l'ha fatta sua, e la interpreta con grande naturalezza, restando fedele allo spirito del personaggio e riuscendo anche a regalare delle lievi sfumature nostalgiche. Probabilmente avrebbe meritato anche più spazio di quello che ha, avremmo voluto più Emily Blun/Mary Poppins. Per apprezzare a pieno la sua performance (come quelle degli altri) bisogna vedere il film in lingua originale, perché Emily Blunt non solo recita benissimo, ha presenza scenica, e balla alla grande, ma sa anche cantare molto bene, e in passato l'ha già dimostrato. Emily Blunt è "praticamente perfetta", come dichiarato dalla stessa Julie Andrews, la migliore scelta possibile per il ruolo.

E' vero, questo sequel non ha la carica fantasiosa del primo, non ha quella leggerezza, si sente la mancanza di un personaggio come Bert o l'autorevolezza di George Banks Senior, non ha canzoni memorabili come "Supercalifragilistichespiralidoso" o "Un poco di zucchero", ma la verità è che paragonandolo all'originale perderà sempre, perciò perché paragonarli? è davvero necessario?
Il Ritorno di Mary Poppins è un film anomalo per il cinema moderno, diverso da quello a cui siamo abituati oggi, soprattutto a cui i più piccoli sono abituati, ed è bellissimo che sia così diverso e "vintage". E' un fantastico e fantasioso viaggio di due ore in cui siamo felici di immergerci. E, diciamolo, noi seguiremmo Mary Poppins ovunque!

venerdì 28 dicembre 2018

Bumblebee - la recensione

I robottoni più amati del mondo dei giocattoli tornano al cinema in una veste più scarna rispetto a quella vista nella saga di Transformers firmata da Michael Bay.

Bumblebee di Travis Knight (Kubo e la Spada Magica) funge da prequel/spin-off della saga e riporta l'Autobot giallo sulla Terra senza roboanti esplosioni e con un cuore di tre taglie più grande.

La semplicità di questo blockbuster è senza dubbio il suo punto di forza. Si torna ad una costruzione narrativa più genuina e "vecchio stile" che ricorda moltissimo gli action movie degli anni '80. Una giovane ragazza di 18 anni (interpretata da una super convincente Hailee Stenfield) "eredita" quello che era ruolo di Shia LaBeouf nei primi film del franchise di Bay, donando alla storia un'atmosfera più umana e spensierata. Bumblebee (o Bee) è una sorta di Baymax (Big Hero 6) impacciato e curioso come un bambino che nel momento del bisogno non esita ad aiutare le persone (e non) a lui più care.

Il progetto è senza dubbio omogeneo e ben tradotto sul grande schermo. Ci si emoziona e si empatizza molto con i protagonisti pur rimanendone comunque distaccati. Se vogliamo trovare un difetto al film lo si potrebbe individuare in un'esagerata esaltazione degli anni '80, periodo storico in cui è ambientato il lungometraggio che viene esaltato dall'inizio alla fine in maniera a volte anche piuttosto fastidiosa e fine a se stessa.

Detto ciò non si può non reputare Bumblebee un buon film di intrattenimento anche se dal sapore piuttosto vintage.

domenica 16 dicembre 2018

Macchine Mortali - la recensione

Dopo anni di sviluppo arriva al cinema Macchine Mortali, progetto tratto dall'omonimo romanzo di Philip Reeve e adattato per il grande schermo da Peter Jackson, Philippa Boyens e Fran Walsh, a cui dobbiamo gli adattamenti cinematografici de Il Signore degli Anelli e de Lo Hobbit.

Bizzarro seppur elementare in molti passaggi, Macchine Mortali è un fantasy ambientato in un futuro distopico con spiccati elementi steampunk che trasporta lo spettatore in un tripudio di effetti speciali ben concepiti e spettacolari coreografie visive degne dei più grandi kolossal. Tuttavia, seppur originale e stimolante nel concept design, il film tende ad una superficialità narrativa a tratti fastidiosa e confusionaria; un aspetto che purtroppo rende l'esperienza cinematografica vagamente azzoppata, anche (e soprattutto) da un montaggio frettoloso e gestito nel peggiore dei modi (escluse le concitate battaglie).

La regia di Christian Rivers purtroppo non dona nulla di memorabile al progetto, così come le interpretazioni dei protagonisti statiche nella loro semplicità. Solo la prova di Hugo Weaving regala qualcosa di più, ma che tuttavia non può tenere in piedi tutto il pathos dell'intera opera.

Nota di merito alla colonna sonora composta da Junkie XL, che purtroppo (o per fortuna) richiama, almeno nella prima parte, le spettacolari sonorità di Mad Max: Fury Road, sempre da lui composte.

Dispiace non poco pensare che probabilmente non vedremo mai dei sequel di Macchine Mortali. In fondo la storia rimane dannatamente affascinante e piena di strade percorribili.

mercoledì 12 dicembre 2018

SAG Awards 2019 - tutte le nomination, di Cinema e Tv

Sono state annunciate poco fa le nomination ai Screen Actors Guild 2019, premio votato dal sindacato degli attori. Come per quelle dei Golden Globe, anche le nomination dei SAG lasciano un po' perplessi, ma per fortuna c'è anche qualche bella notizia.

A dominare è A Star is Born, che raccoglie il maggior numero di candidature, tra cui anche quella per il miglior cast. In questa categoria, che equivale al "miglior film", il film/remake diretto da Bradley Cooper dovrà vedersela con BlacKkKlansman, Bohemian Rhapsody, Black Panther e Crazy Rich Asians. Una cinquina che sinceramente lascia molto perplessi e in cui l'unico titolo su cui proprio non si può dire nulla è BlacKkKlansman, che ha ricevuto nomination assolutamente giuste.
Precisiamo, la perplessità non deriva da gusti personali, ma da diversi fattori, soprattutto dal fatto che i film nominati sono stati preferiti ad altri che - onestamente - avrebbero meritato molto di più. Facciamo degli esempi di illustri esclusi dalla cinquina: The Favourite, osannato dalla critica, ha tutte e tre le protagoniste nominate singolarmente ma non è stato inserito nel miglior cast, scelta alquanto discutibile; Vice, con i due protagonisti nominati e un cast d'insieme davvero notevole; Widows, che ha come vero punto di forza proprio un grande cast capitanato da una bravissima Viola Davis; Roma, il film più apprezzato dell'anno, con un ottimo cast di attori non professionisti, non è stato proprio preso in considerazione.
Curiosa anche la presenza di Black Panther e Crazy Rich Asians, totalmente assenti nelle altre categorie ma nominati per il miglior cast. Insomma, la logica dietro la cinquina del miglior cast, onestamente, ci sfugge. Come ci sfugge il motivo della totale assenza di First Man, snobbato ai Golden Globe e ora anche ai SAG (che avrà fatto di male il povero Chazelle?).

Fa discutere anche l'assenza di due attrici che, a giudizio popolare, avrebbero meritato di essere prese in considerazione almeno per una nomination, stiamo parlando di Nicole Kidman (Destroyer), presente invece nella cinquina Drama ai Golden Globe, e soprattutto Toni Collette, la cui performance in Hereditary è da tutti considerata come una delle migliori dell'anno. Ma c'è chi giustamente fa notare anche l'assenza dell'ottima Charlize Theron di Tully. Sorprende anche la clamorosa assenza di Regina King (Se la Strada Potesse Parlare), nominata ai Golden Globe, già vincitrice di tre premi per la sua interpretazione.
Tra gli attori, spicca l'assenza di Sam Rockwell, la cui performance in Vice avrebbe meritato più considerazione. Assenti sia Ryan Gosling che Claire Foy, ma abbiamo capito che First Man non è stato proprio calcolato.

Passiamo alle belle notizie. Doppia nomination per Emily Blunt, migliore attrice protagonista per Il Ritorno di Mary Poppins e migliore attrice non protagonista per A Quiet Place, nomination strameritata. Doppia nomination anche per Amy Adams, per il suo ruolo nella miniserie Sharp Objects e come migliore attrice non protagonista in Vice. Poi c'è Glenn Close, nominata come migliore attrice protagonista per The Wife, la sua presenza è sempre una buona notizia.

La cerimonia di premiazione si terrà il 27 gennaio. Ecco tutte le nomination, Tv e Cinema.

- CINEMA -

Miglior Cast
A Star Is Born
Black Panther
BlacKkKlansman
Bohemian Rhapsody
Crazy Rich Asians

Miglior Attrice Protagonista 
Emily Blunt – Il Ritorno di Mary Poppins
Glenn Close – The Wife
Olivia Colman – La Favorita
Lady Gaga – A Star is Born
Melissa McCarthy – Copia Originale

Miglior Attore Protagonista
Christian Bale – Vice
Bradley Cooper – A Star is Born
Rami Malek – Bohemian Rhapsody
Viggo Mortensen – Green Book
John David Washington – BlackKklansma

Miglior Attore non Protagonista
Mahershala Ali – Green Book
Timothée Chalamet – Beautiful Boy
Adam Driver – BlacKkKlansman
Sam Elliott- A Star is Born
Richard E. Grant – Copia Originale

Miglior Attrice non Protagonista
Amy Adams- Vice
Emma Stone – La Favorita
Rachel Weisz – La Favorita
Emily Blunt – A Quiet Place
Margot Robbie – Mary Queen of Scots

Miglior Cast Stunt
ANT-MAN AND THE WASP (Marvel Studios)
AVENGERS: INFINITY WAR (Marvel Studios)
THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS (Netflix)
BLACK PANTHER (Marvel Studios)
MISSION: IMPOSSIBLE – FALLOUT (Paramount Pictures)

- TV -

Miglior Performance di un attore in un film tv o miniserie
Antonio Banderas, “Genius: Picasso”
Darren Criss, “Assassination of Gianni Versace”
Hugh Grant, “A Very English Scandal”
Anthony Hopkins, “King Lear”
Bill Pullman, “The Sinner”

Miglior Performance di un'attrice in un film tv o miniserie
Amy Adams, “Sharp Objects”
Patricia Arquette, “Escape at Dannemora”
Patricia Clarkson, “Sharp Objects”
Penelope Cruz, “Assassination of Gianni Versace”
Emma Stone, “Maniac”

Miglior Performance di un attore in una serie drammatica
Jason Bateman, “Ozark”
Sterling K. Brown, “This Is Us”
Joseph Fiennes, “The Handmaid’s Tale”
John Krasinski, “Tom Clancy’s Jack Ryan”
Bob Odenkirk, “Better Call Saul”

Miglior Performance di un'attrice in una serie drammatica
Julia Garner, “Ozark”
Laura Linney, “Ozark”
Elisabeth Moss, “The Handmaid’s Tale”
Sandra Oh, “Killing Eve”
Robin Wright, “House of Cards”

Miglior Performance di un attore in una serie comedy
Alan Arkin, “The Kominsky Method”
Michael Douglas, “The Kominsky Method”
Bill Hader, “Barry”
Henry Winkler, “Barry”

Miglior Performance di un'attrice in una serie comedy
Alex Borstein, “The Marvelous Mrs. Maisel”
Alison Brie, “GLOW”
Rachel Brosnahan, “The Marvelous Mrs. Maisel”
Jane Fonda, “Grace and Frankie”
Lily Tomlin, “Grace and Frankie”

Miglior Performance di un cast in una serie drammatica
“The Americans”
“Better Call Saul”
“The Handmaid’s Tale”
“Ozark”
“This Is Us”

Miglior Performance di un cast in una serie comedy
“Atlanta”
“Barry”
“GLOW”
“The Kominsky Method”
“The Marvelous Mrs. Maisel”

Miglior Performance degli stunt in una serie tv
“Glow”
“Marvel’s: Daredevil”
“Tom Clancy’s Jack Ryan”
“The Walking Dead”
“Westworld”

lunedì 10 dicembre 2018

Mowgli - Il Figlio della Giungla - la recensione

Doveva uscire nel 2016, lo stesso anno del bellissimo film Disney diretto da Jon Favreau, ma forse è meglio che sia uscito solo ora, a fine 2018 sulla piattaforma Netflix, perché il confronto con lo strapotere tecnico e creativo Disney avrebbe ingiustamente affossato un film che, nonostante i suoi limiti (soprattutto negli effetti visivi), riesce a toccare le corde giuste e dire qualcosa di importante e profondo.


Lontano dalla spensieratezza Disney e dalla magnificenza realistica della ricostruzione in CGI che quella trasposizione aveva proposto, Andy Serkis si avvicina maggiormente allo spirito e all'anima che animava i racconti di Kipling
La giungla è scura, crudele anche con i propri abitanti, governata da una legge assoluta a cui tutti devono sottostare per poter sopravvivere al suo interno, dagli enormi elefanti ricoperti di vegetazione e dalle zanne spezzate, fino alla crudele tigre Shere Khan (un monumentale Benedict Cumberbatch), astuta, melliflua, ma ugualmente segnata, con una zampa mutilata.
Anche Mowgli, ragazzino alle soglie della pubertà, si ritrova a vivere in questo ambiente spietato, diviso fra il suo essere uomo e il suo essere lupo, senza essere però davvero nessuno dei due. I suoi maestri sono Bagheera e Baloo, in una inedita versione molto meno giocosa, doppiati da Serkis stesso e da Christian Bale, quasi crudeli nel loro addestrare il giovane cucciolo d'uomo a una vita che sarà per lui tutt'altro che facile.
E' interessante come nel racconto di formazione che ne deriva, più che l'aspetto più puramente narrativo (il film zoppica un po' quanto a intreccio, non sempre chiarissimo, non sempre fluido), è il paesaggio stesso della giungla a diventare preponderante, rendendo sfumate le divisioni classiche fra buoni e cattivi, riuscendo con grande forza a restituire la sensazione cruda e spietata del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, fino all'età adulta, senza edulcorare nulla e senza risparmiare anche scene di un certo impatto.

Come ci ricorda il serpente Kaa, con la splendida voce di Cate Blanchett, la legge della giungla è inflessibile e tutti gli abitanti devono rispettarla per poter sopravvivere, ma è anche fragile ed è solo comprendendola, e accettando la nostra vera natura, che si può davvero sperare di non soccombervi.
Il cucciolo d'uomo ci riesce ed è questa profonda comprensione che lo porta a crescere, così come è questa visione intima, dall'impronta fortemente autoriale, che permette al film di Serkis di non sfigurare affatto di fronte a produzioni di più alto prestigio.

giovedì 6 dicembre 2018

Golden Globes 2019: tutte le nomination


Sono state annunciate oggi alle 14 ora italiana le nomination per i Golden Globes 2019. Fra i film a ricevere il maggior numero di nomination c'è A Star is Born, Vice e La Favorita, mentre sorprende la presenza di Black Panther nella cinquina dei migliori film drammatici. Roma di Alfonso Cuaron, come si sapeva, concorrerà unicamente per miglior film straniero ed è perciò assente fra i drama.
Per le serie spiccano The Marvelous Mrs Maisel, già trionfatrice agli scorsi Emmy, Sharp Object e, un po' a sorpresa, A Very English Scandal. Molte meritate nomination anche per l'ultima stagione di The Americans, mentre totalmente assente Game of Thrones, (ingiustamente?) vincitore agli Emmy.
La cerimonia, presentata da  Sandra Oh e Andy Samberg si terrà nella notte fra il 6 e il 7 Gennaio.
Ecco la lista completa dei nominati:



Miglior attrice in una miniserie
Amy Adams – Sharp Objects
Patricia Arquette – Escape at Dannemora
Connie Britton – Dirty John
Laura Dern – The Tale
Regina King – Seven Seconds

Miglior serie tv comedy
Barry (HBO)
The Good Place (NBC)
Kidding (Showtime)
Il metodo Kominsky (Netflix)
The Marvelous Mrs. Maisel (Amazon)

Miglior film straniero
Cafarano
Girl
Never Look Away
Roma
Un affare di famiglia

Miglior attore in una miniserie
Antonio Banderas – Genius: Picasso
Daniel Bruhl – The Alienist
Darren Criss – American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace
Benedict Cumberbatch – Patrick Melrose
Hugh Grant – A Very English Scandal

Miglior attrice non protagonista in una serie
Alex Bornstein – The Marvelous Mrs. Maisel
Patricia Clarkson – Sharp Objects
Penelope Cruz –American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace
Thandie Newton – Westworld
Yvonne Strahovski – The Handmaid’s Tale

Miglior colonna sonora originale
Marco Beltrami – A Quiet Place
Alexandre Desplat – L’isola dei cani
Ludwig Göransson – Black Panther
Justin Hurwitz – First Man
Marc Shaiman – Il ritorno di Mary Poppins

Miglior miniserie
The Alienist (TNT)
American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace (FX)
Escape at Dannemora (Showtime)
Sharp Objects (HBO)
A Very English Scandal (Amazon)

Miglior attore non protagonista in una serie
Alan Arkin – Il metodo Kominsky
Kieran Culkin – Succession
Edgar Ramirez – American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace
Ben Whishaw – A Very English Scandal
Henry Winkler – Barry

Miglior sceneggiatura
Alfonso Cuaron – Roma
Deborah Davis and Tony McNamara – La favorita
Barry Jenkins – Se la strada potesse parlare
Adam McKay – Vice – L’uomo nell’ombra
Peter Farrelly, Nick Vallelonga, Brian Currie – Green Book

Miglior attrice in una serie tv comedy
Kristen Bell – The Good Place
Candice Bergen – Murphy Brown
Alison Brie – Glow
Rachel Brosnahan – The Marvelous Mrs. Maisel
Debra Messing – Will & Grace

Miglior attore in una serie tv comedy
Sasha Baron Cohen – Who Is America?
Jim Carrey – Kidding
Michael Douglas –Il metodo Kominsky
Donald Glover – Atlanta
Bill Hader – Barry

Miglior film d’animazione
Gli incredibili 2
L’isola dei cani
Mirai
Ralph Spacca Internet
Spider-Man: Into the Spider-Verse

Miglior attrice in una serie drammatica
Caitriona Balfe – Outlander
Elisabeth Moss – The Handmaid’s Tale
Sandra Oh – Killing Eve
Julia Roberts – Homecoming
Keri Russell – The Americans

Miglior attore in un film musical o in una commedia
Christian Bale – Vice
Lin-Manuel Miranda – Mary Poppins Returns
Viggo Mortensen – Green Book
Robert Redford – The Old Man & the Gun
John C. Reilly – Stanlio e Ollio

Miglior regista
Bradley Cooper – A Star Is Born
Alfonso Cuaron – Roma
Peter Farrelly – Green Book
Spike Lee – BlacKkKlansman
Adam McKay – Vice – L’uomo nell’ombra

Miglior serie drammatica
The Americans
Bodyguard
Homecoming
Killing Eve
Pose

Miglior attrice non protagonista in un film
Amy Adams – Vice – L’uomo nell’ombra
Claire Foy – First Man
Regina King – Se la strada potesse parlare
Emma Stone – La favorita
Rachel Weisz – La favorita

Miglior canzone
“All the Stars” – Black Panther
“Girl in the Movies” – Dumplin’
“Requiem For A Private War” – A Private War
“Revelation’ – Boy Erased
“Shallow” – A Star Is Born

Miglior attore in una serie drammatica
Jason Bateman – Ozark
Stephan James – Homecoming
Richard Madden – Bodyguard
Billy Porter – Pose
Matthew Rhys – The Americans

Miglior attore non protagonista in un film
Mahershala Ali – Green Book
Timothee Chalamet – Beautiful Boy
Adam Driver – BlacKkKlansman
Richard E. Grant – Can You Ever Forgive Me?
Sam Rockwell – Vice – L’uomo nell’ombra

Miglior attrice in un film drammatico
Glenn Close – The Wife
Lady Gaga – A Star Is Born
Nicole Kidman – Destroyer
Melissa McCarthy – Can You Ever Forgive Me?
Rosamund Pike – A Private War

Miglior attrice in una commedia o in un film musical
Emily Blunt – Il ritorno di Mary Poppins
Olivia Colman – La favorita
Elsie Fisher – Eighth Grade
Charlize Theron – Tully
Constance Wu – Crazy Rich Asians

Miglior attore in un film drammatico
Bradley Cooper – A Star Is Born
Willem Dafoe – At Eternity’s Gate
Lucas Hedges – Boy Erased – Vite cancellate
Rami Malek – Bohemian Rhapsody
John David Washington – BlacKkKlansman

Miglior film musical o commedia
Crazy Rich Asians
The Favourite
Green Book
Il ritorno di Mary Poppins
Vice

Best Motion Picture – Drama
Black Panther
BlacKkKlansman
Bohemian Rhapsody
Se la strada potesse parlare
A Star Is Born

martedì 4 dicembre 2018

Roma - la recensione

Cinque anni dopo il meraviglioso Gravity, Alfonso Cuaron torna con un film, prodotto da Netflix, talmente personale che molte delle scene sono estrapolate direttamente dai suoi ricordi d'infanzia, rendendo omaggio alle donne della sua vita.


Sembra strano che un autore come Cuaron, non certo uno che macina soldi al botteghino, abbia scelto Netflix per un film come Roma, eppure non si può negare che ormai il colosso dello streaming è diventato piattaforma anche d'autore, riuscendo ad accaparrarsi il Leone d'Oro a Venezia e lanciandosi anche nella corsa agli Oscar.
Fortunatamente, però, non ha rinunciato alla proiezione in sala, perché Roma, con il suo bianco e nero e i suoi campi lunghi, sembra girato appositamente per risaltare nel buio dei cinema, per essere amplificato nel suono della sala che mette in evidenza ogni sparo, ogni aereo che sorvola la città, ogni rumore e suono sullo sfondo che diventa parte integrante della ricostruzione del quartiere di Città del Messico, dello spaccato degli anni '70 e della vita di una famiglia comune.

Nel raccontare la storia di Cleo e della famiglia in cui la ragazza fa la domestica, c'è più di un'ispirazione verso il cinema neorealista italiano (Roma città aperta è richiamato alla memoria più volte), aiutato dalla fotografia in bianco e nero, dalla regia in cui si alternano primi piani intensi e lunghi piano sequenza di grandissimo impatto, in cui sono i suoni esterni a fare da colonna sonora, dalle onde del mare agli spari e le urla durante uno scontro fra manifestanti e polizia.
La storia quotidiana si intreccia agli avvenimenti del quartiere e della città, riuscendo a emozionare con grande semplicità, senza calcare mai sul dramma a tutti i costi, senza particolari scossoni, solo grazie alla bravura del cast, soprattutto donne, perché sono loro a far vivere la casa, mentre gli uomini rimangono sullo sfondo e sono spesso crudeli e violenti, anche quando sono solo dei bambini.

Non è facile cogliere i molteplici strati tematici presenti in Roma, che parte dalla storia di una cameriera, Cleo, si amplia nel racconto familiare e arriva fino al sociale, con la Storia messicana che sembra irrompere dalla finestra con la violenza di un uragano, per poi andare via e tornare a essere solo contorno, che sia una rivolta studentesca, i mondiali di calcio, o l'enorme discrepanza sociale fra quartieri ricchi e baraccopoli.
Proprio per questo è un film da vedere e rivedere, ma anche, e soprattutto, perché è un film magnifico.

domenica 2 dicembre 2018

La ballata di Buster Scruggs - la recensione

Doveva essere una serie tv, il nuovo film dei fratelli Coen, e questo in un certo senso si percepisce, eppure alla fine la sensazione che, pur nella struttura episodica, ci sia un senso di compiuto tipico del cinema è forte.

Forse è per questo che alla fine i Coen hanno deciso di farne un film, e per di più un western molto classico in un certo senso.


Prendendo in prestito dalle favole l'immagine del libro che viene sfogliato, vediamo man mano le sei storie, ognuna delle quali si conclude in maniera enigmatica.
Ed è proprio questo senso sospeso di mistero l'unico filo conduttore fra le storie tutte molto diverse fra loro per interpreti (si va da James Franco a Liam Neeson, a Brendan Gleeson) e tono (surreale, drammatico, quasi horror in alcuni momenti).
Non tutte le storie sono ugualmente riuscite, comunque sopra tutte spicca Meal Ticket, in cui un uomo viaggia di città in città con un carro e un ragazzo senza braccia e senza gambe, portando in scena lo spettacolo "Il tordo senza ali", sicuramente la storia più malinconica e toccante che rimane maggiormente impressa, grazie anche alla bravura di Harry Melling (irriconoscibile da quando era il cugino bullo di Harry Potter), mentre invece rimane un po' sottotono The Gal Who Got Rattled, la storia che più di tutte si avvicina a un western classico, con carovane, praterie e indiani.

Grande merito per la riuscita del film va sicuramente alla sceneggiatura dei Coen, fatta di dialoghi brillanti e surreali che hanno ben meritato il premio ricevuto al Festival di Venezia, ma è anche impossibile non citare altri due aspetti fondamentali, come la fotografia limpida e pulita di Bruno Delbonnel e soprattuttole splendide ed evocative musiche di Carter Burwell.


Non un film perfetto, con alti e bassi e che probabilmente non riuscirà a catturare chi non ama il cinema dei Coen, ma La Ballata di Buster Cruggs è innegabilmente uno dei titoli più affascinanti dell'anno.

domenica 25 novembre 2018

Giornata contro la violenza sulle donne - quattro titoli da recuperare

Il 25 ottobre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Una giornata per ricordare al mondo che ancora oggi, nel 2018, le donne sono costrette a subire discriminazione e soprusi che troppo spesso sfociano nella violenza e, purtroppo nell'omicidio.
Nell'ultimo anno il mondo del Cinema è stato scosso in modo veemente dallo scandalo molestie, a cui ha fatto seguito la nascita di diversi movimenti a supporto delle donne, #MeToo, Time's Up, e in Italia il movimento Dissenso Comune.



Nel corso degli anni il Cinema ha  affrontato spesso il tema della violenza sulle donne, raccontandola in tutte le sue malate forme. Ecco quattro titoli che raccontano diversi tipo di violenza, fisica, psicologica, in casa, nelle aule di tribunale, e sul lavoro.

- SOTTO ACCUSA (1988), con Kelly McGillis e una straordinaria Jodie Foster, che con questo film ha vinto il suo primo Oscar.
La pellicola, ispirata a un fatto realmente accaduto, racconta la storia di una ragazza, Sarah (Foster), che una sera viene violentata da tre uomini in un bar, fatto che avviene davanti a una folla urlante che incita i tre facendo il tifo. A seguito dello stupro a finire sotto accusa non sono solo i violentatori, che se la cavano con poco, ma la stessa ragazza, colpevole di essere ubriaca, di avere fatto commenti troppo espliciti e di avere avuto un atteggiamento troppo provocante. Solo la testardaggine del procuratore (McGillis), l'unica a sostenere Sarah, riuscirà a riaprire il caso portando a giudizio tutti quelli che erano presenti nella sala e che invece di aiutare la ragazza hanno fatto il tifo per gli stupratori. Un film durissimo da vedere e fortemente realistico.

- NORTH COUNTRY - STORIA DI JOSEY (2005), con Charlize Theron, Woody Harrelson, Jeremy Renner e Frances McDormand.
Tratto da una vera storia, il film racconta le difficili condizioni in cui delle donne sono state costrette a lavorare in una miniera nel nord del Minnesota, tra minacce, insulti, e continue umiliazioni. Tra queste donne c'è Josey (C.Theron), madre di due bambini, fuggita da un marito violento, e con un passato segnato da una violenza subita. Come le altre, anche Josey non viene accettata dai colleghi maschi della miniera, così decide di alzare la testa, licenziarsi e fare causa all'azienda, trovandosi però sola contro tutti.
Il film ha ricevuto due nomination agli Oscar 2006, migliore attrice (Theron) e migliore attrice non protagonista (McDormand)

- A LETTO CON IL NEMICO (1991), con Julia Roberts protagonista.
Una coppia in apparenza felice e affiatata, in realtà Laura (J.Roberts) vive un incubo, sposata ad un uomo violento e possessivo che la picchia continuamente. Per fuggire, Laura arriva a fingersi morta ma quando pensa di aver finalmente ritrovato la libertà, quell'uomo torna a perseguitarla con lo scopo di ucciderla. Un thriller dalla trama piuttosto semplice e uno svolgimento molto classico, con una buona interpretazione di Julia Roberts e di un perfido Patrick Bergin. Un marito violento che perseguita la moglie per ucciderla, una storia tristemente attuale.

- PRIMO AMORE (2004), con Vitaliano Trevisan e Michela Cescon.
Diretto da Matteo Garrone e liberamente ispirato al libro "Il Cacciatore di Anoressiche", il film racconta una violenza psicologica che diventa anche fisica. Al centro della storia la relazione  tra Vittorio e Sonia, che si incontrano tramite un annuncio per "cuori solitari". Lui è ossessionato dalle donne estremamente magre, fino all'anoressia, e Sonia accetta di dimagrire per lui, come atto d'amore, ignorando l'ossessione malata dell'uomo. Se all'inizio quella di Sonia è una libera scelta, all'improvviso la sua vita si trasforma in un vero incubo, vittima della morbosità e delle ossessioni di Vittorio, arrivando a una magrezza estrema che mette in pericolo la sua salute. La ribellione di Sonia la porterà a un gesto estremo contro Vittorio.

martedì 20 novembre 2018

Joker - Joaquin Phoenix in fuga nelle nuove foto dal set

Vanno avanti le riprese del nuovo film sul Joker che vedrà Joaquin Phoenix protagonista nel ruolo dell'iconico cattivo della DC Comics.

Nelle nuove immagini trapelate dal set (e in queste settimane ne sono uscite parecchie) si vede l'attore, con il trucco da clown, impegnato in una rocambolesca fuga dalla polizia. Coinvolti nella scena anche Bill Camp e Shea Whigham.
Diretto da Todd Phillips, il film racconta la storia di uno stand-up comedian di nome Arthur Fleck (Phoenix), che a seguito di una giornata particolarmente storta e sfortunata si trasforma nel temutissimo e folle clown. La pellicola non farà parte della "saga di Justice League", nella quale è già presente un altro Joker.
Nel cast anche Zazie Beetz, Frances Conroy, e Robert De Niro.



Ecco alcune delle foto scattate sul set, con tanto di controfigura che viene investita da un taxi. Per vederle tutte potete andare sul sito di Just Jared.







sabato 17 novembre 2018

Independent Spirit Awards 2019 - le nomination

La stagione dei premi si avvicina, e come sempre ad aprire le danze sono le nomination ai Film Independent Spirit Awards 2019, il premio più importante del Cinema indipendente USA (sotto i 20 milioni di dollari di budget), assegnato dalla Film Independent (associazione no profit a sostegno dell'arte).

A guidare le nomination è il film We the Animals, che ha ricevuto 5 candidature ma non quella per il miglior film. Quattro le nomination per i film Eight Grade, First Reformed, e You Were Never Really Here.
Tra le attrici candidate, spiccano le nomination di Glenn Close (The Wife) e Toni Collette (Hereditary), due nomi che potremmo (speriamo) ritrovare anche agli Oscar. Tra gli attori, nomination per Joaquin Phoenix per il film You Were Never Really Here, con cui ha vinto il premio come la migliore interpretazione maschile a Cannes 2017.

C'è spazio anche per l'Italia. Suspiria di Luca Guadagnino è stato nominato nella sezione miglior fotografia, ma riceverà anche il Robert Altman Award, un premio "generale" (cast, regia, ecc) al film. Infine, nella cinquina dei miglior film stranieri c'è anche Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher, che dovrà vedersela con i due favoriti, Roma di Alfonso Cuaron e The Favourite di Yorgos Lanthimos.


La cerimonia di premiazione si svolgerà il prossimo 23 febbraio, la sera prima degli Oscar.

Ecco l'elenco dei nominati.

BEST FEATURE
Eighth Grade
First Reformed
If Beale Street Could Talk
Leave No Trace
You Were Never Really Here

BEST FIRST FEATURE
Hereditary
Sorry to Bother You
The Tale
We the Animals
Wildlife

BEST DIRECTOR
Debra Granik, LEAVE NO TRACE
Barry Jenkins, IF BEALE STREET COULD TALK
Tamara Jenkins, PRIVATE LIFE
Lynne Ramsay, YOU WERE NEVER REALLY HERE
Paul Schrader, FIRST REFORMED

BEST FEMALE LEAD
Glenn Close, THE WIFE
Toni Collette, HEREDITARY
Elsie Fisher, EIGHTH GRADE
Regina Hall, SUPPORT THE GIRLS
Helena Howard, MADELINE’S MADELINE
Carey Mulligan, WILDLIFE

BEST MALE LEAD
John Cho, SEARCHING
Daveed Diggs, BLINDSPOTTING
Ethan Hawke, FIRST REFORMED
Christian Malheiros, SÓCRATES
Joaquin Phoenix, YOU WERE NEVER REALLY HERE

BEST SUPPORTING FEMALE
Kayli Carter, PRIVATE LIFE
Tyne Daly, A BREAD FACTORY
Regina King, IF BEALE STREET COULD TALK
Thomasin Harcourt McKenzie, LEAVE NO TRACE
J. Smith-Cameron, NANCY

BEST SUPPORTING MALE
Raúl Castillo, WE THE ANIMALS
Adam Driver, BLACKKKLANSMAN
Richard E. Grant, CAN YOU EVER FORGIVE ME?
Josh Hamilton, EIGHTH GRADE
John David Washington, MONSTERS AND MEN

BEST CINEMATOGRAPHY
Ashley Connor, MADELINE’S MADELINE
Diego Garcia, WILDLIFE
Benjamin Loeb, MANDY
Sayombhu Mukdeeprom, SUSPIRIA
Zak Mulligan, WE THE ANIMALS

BEST SCREENPLAY
Richard Glatzer (Writer/Story By), Rebecca Lenkiewicz & Wash Westmoreland, COLETTE
Nicole Holofcener & Jeff Whitty, CAN YOU EVER FORGIVE ME?
Tamara Jenkins, PRIVATE LIFE
Boots Riley, SORRY TO BOTHER YOU
Paul Schrader, FIRST REFORMED

BEST FIRST SCREENPLAY
Bo Burnham, EIGHTH GRADE
Christina Choe, NANCY
Cory Finley, THOROUGHBREDS
Jennifer Fox, THE TALE
Quinn Shephard (Writer/Story By) and Laurie Shephard (Story By), BLAME

BEST EDITING
Joe Bini, YOU WERE NEVER REALLY HERE
Keiko Deguchi, Brian A. Kates & Jeremiah Zagar, WE THE ANIMALS
Luke Dunkley, Nick Fenton, Chris Gill & Julian Hart, AMERICAN ANIMALS
Anne Fabini, Alex Hall and Gary Levy, THE TALE
Nick Houy, MID90S

BEST DOCUMENTARY
- HALE COUNTY THIS MORNING, THIS EVENING
- MINDING THE GAP
- OF FATHERS AND SONS
- ON HER SHOULDERS
- SHIRKERS
- WON’T YOU BE MY NEIGHBOR?

BEST INTERNATIONAL FILM
BURNING (South Korea)
THE FAVOURITE (United Kingdom)
LAZZARO FELICE (Italia)
ROMA (Mexico)
SHOPLIFTERS (Japan)

ROBERT ALTMAN AWARD
Suspiria

BONNIE AWARD
Debra Granik
Tamara Jenkins
Karyn Kusama

JOHN CASSAVETES AWARD
A Bread Factory
En el Septimo Dia
Never Goin’ Back
Socrates
Thunder Road

giovedì 15 novembre 2018

Animali Fantastici - I Crimini di Grindelwald


La pellicola si apre con una sequenza incalzante, come un colpo di frusta: Grindelwald (Johnny Depp, nuovamente alle prese con delle lenti a contatto molto inquietanti) deve rispondere dei suoi crimini commessi in Europa... Quali? Non è ancora dato saperlo, e viene caricato su di una carrozza per essere estradato dal MACUSA. Riesce magicamente (in tutti i sensi) ad evadere e, dopo una rocambolesca fuga, a rifugiarsi a Parigi.
Tre mesi dopo, a Londra, un sentimentalmente confuso Newt Scamander (Eddie Redmayne), viene incaricato da Albus Silente (per la prima volta portato in vita da Jude Law) di compiere una missione: trovare il fuggitivo per sconfiggerlo e salvare l'anima di Credence (un sempre istrionico Ezra Miller).

Il film sposta, quindi, il suo complesso intreccio in Francia, dove il cast originale cerca zoppicando di riunirsi con alcuni risvolti dei più inaspettati.
Contorto l'epilogo, che ci porta a pensare ad un terzo capitolo, per il quale pare che i casting stiano già iniziando a Rio de Janeiro, potenzialmente ricco di sorprese. C'è da augurarsi che le promesse vengano mantenute!
Meglio non svelare troppi dettagli di questa trama, ricca di un fan service forse addirittura eccessivo, giocata quasi interamente su fitti rapporti, prevedibili e non, e che reputo comunque priva della densità sperata. La regia di David Yates è ancora complicata e dispersiva; caotica. Gli spazi sono mal gestiti e nelle scene d'azione si perde data di ciò che succede. Si punta al "bel guazzabuglio moderno" con lampi di luce ed ottimi effetti speciali, forse studiati per una migliore riuscita del 3D, ma che la fanno da padrona su un soggetto spoglio e caratterizzazione dei nuovi personaggi, ai quali sono riservati pochi momenti.


Johnny Depp rinasce finalmente dalle ceneri, metafora più che appropriata, dopo tanti ruoli monotoni, e crea un villain violento, ma dotato di una calma disarmante, un futuro dittatore, se guardiamo con lungimiranza, ma dotato già da adesso di una parlantina che incanta e convince lo spettatore, che si troverà in difficoltà a scegliere da che parte stare.
Il Newt di Eddie Redmayne diventerà, perciò, la necessità del trovare un eroe che, però, al momento non spicca e non si sbilancia, ma che rimane bensì a vivere nel suo baule, con il suo nuovo sentimento del quale ha probabilmente paura, con i suoi vecchi rancori, la sua velata sociopatia, la sua vena autistica adorabile e le sue creature che custodisce ed ama con tanta passione e presso le quali trova rifugio. Gli altri personaggi, già visti e nuovi, roteano come satelliti intorno a queste due stelle, senza infamia e senza lode.

Interessante il montaggio sonoro, bello il ritorno al motivo del primo episodio e l'omaggio al tema tutto potteriano del castello di Hogwarts che è ormai totalmente sedimentato nel nostro cuore e non manca di emozionare chi assieme a Harry Potter è cresciuto.

L'amore come concetto universale, la necessità di appartenere a qualcosa di concreto, l'identità della famiglia, l'amore sensuale, eterosessuale e non, l'amore per i propri ideali è il cardine intorno al quale ruota un film godibile, ma non un capolavoro del genere.

sabato 10 novembre 2018

In arrivo un biopic su Rock Hudson

La Universal sta lavorando a un progetto che racconterà la vita di Rock Hudson, una delle più grandi stelle della vecchia Hollywood, protagonista di film indimenticabili come Il Gigante, al fianco della sua grande amica Liz Taylor, Come Foglie al Vento e Magnifica Ossessione, e anche di divertenti commedie romantiche in coppia con Doris Day.

A produrre e dirigere il biopic sarà Greg Berlanti, regista del recente Tuo, Simon. Al momento non si sa chi si occuperà della sceneggiatura. Troppo presto anche per parlare di un possibile cast.

Con una carriera iniziata negli anni'50, Rock Hudson ha vissuto quel periodo in cui le star di Hollywood erano osannate dal pubblico e controllate dagli studios, quando gli attori e le attrici  dovevano avere, agli occhi della gente, una vita apparentemente immacolata. Per questo motivo Rock Hudson ha dovuto nascondere per moltissimi anni la sua omosessualità, nota a tutti nell'ambiente. Per evitare di danneggiare la sua immagine di "maschio, forte, bello, e ricco", sull'attore venne fatto un attento lavoro di marketing, con grande investimento, anche in termini di denaro, da parte degli studios, per cercare di proteggere quella immagine e mettere a tacere il gossip, Addirittura nel 1955 venne organizzato un matrimonio "di copertura", in cui Rock Hudson convolò a nozze con la sua segretaria. Matrimonio che durò solo due anni.


L'omosessualità dell'attore rimase segreta fino agli anni '80, quando Rock Hudson scoprì di essere malato di AIDS.
La diagnosi arrivò nel 1984, l'attore cercò di tenerla segreta, provando a giustificare un aspetto invecchiato e un'improvvisa ed eccessiva perdita di peso con diete ferree, anemie, e addirittura con un cancro. La situazione però peggiorò velocemente e in modo evidente, le ultime apparizioni pubbliche dell'attore, tra cui un'intervista con la sua grande amica Doris Day, non lasciavano dubbi su uno stato di salute piuttosto problematico. L'attore cominciò anche ad avere problemi di memoria, tanto da dimenticarsi le battute sul set della soap Dinasty. Non passarono inosservati i suoi continui viaggi a Parigi per curarsi, così nel 1985, l'attore rilasciò un comunicato in cui annunciava pubblicamente di avere l'AIDS. Le reazioni sfiorarono l'isterismo di massa. L'ospedale in cui era ricoverato si svuotò per il terrore del contagio. Tutte le compagnie aeree si rifiutarono di averlo come passeggero così l'attore fu costretto a prenotare un intero volo in cui viaggiare solo. Sul set di Dinasty scoppiò una vera e propria fobia da contagio.
Rock Hudson morì pochi mesi dopo l'annuncio, il 2 ottobre 1985, periodo in cui la stampa seguì in modo morboso il decorso della malattia. Aveva 59 anni.

Rock Hudson è stata la prima celebrità ad ammettere pubblicamente di aver contratto l'AIDS. La morte di un attore così amato dalla gente, e dai colleghi, fu un momento determinante per la presa di coscienza collettiva su una malattia che fino a quel momento, nonostante il crescente e impressionante numero di contagiati, era stata volutamente ignorata o relegata a un problema che riguardava solo gli omosessuali. Una presa di coscienza che arrivò fino alla Casa Bianca, con il presidente USA di quegli anni, Ronald Reagan, ex attore e grande amico di Rock Hudson, che cambiò atteggiamento nei confronti della malattia.

mercoledì 7 novembre 2018

Shrek: in arrivo il reboot della saga?

Il ciclo di Shrek non si è ancora esaurito. L'orco verde sarà protagonista di un nuovo film, ma sarà un nuovo capitolo della saga o un reboot?

E' da tempo che la Universal sta pensando di riportare sul grande schermo una delle saghe d'animazione più amate di sempre, quella di Shrek, nel frattempo però gli obbiettivi dello studio sembrano essere cambiati, puntando più verso un reboot che verso un quinto film della saga.

Un compito per niente facile che è stato affidato a Chris Meledandri, regista di Cattivissimo Me, pronto a far ripartire da zero la saga, a reinventare i personaggi, ma con il desiderio di coinvolgere anche il cast vocale originale, Mike Myers, Eddie Murphy, Cameron Diaz e Antonio Banderas, a cui si deve una buona parte del successo dei quattro film del franchise.


"Se si torna ad ascoltare quelle performance vocali erano fantastiche. Vogliamo comunque reinventare storie e personaggi. Sebbene si possa puntare una reinvenzione totale, mi ritrovo con nostalgia a voler tornare a quelle interpretazioni", ha dichiarato Meledandri a Variety, "La sfida maggiore sarà trovare qualcosa che non avrà il sapore di un semplice sequel di un franchise già famoso. Ci si può sbizzarrire ancora molto in quel mondo, ma è davvero difficile trovare una storia adatta. Bisogna trovare un racconto che sembri davvero qualcosa di nuovo".

Il progetto di rinnovamento non coinvolgerà solo Shrek ma anche Il Gatto con gli Stivali, ma per il momento entrambi sembrano ancora in alto mare.

martedì 30 ottobre 2018

First Man - la recensione


Dopo il successo di La La Land, Damien Chazelle torna nei cinema con una storia che apparentemente non ha nulla a che fare con il musical che gli ha regalato l'Oscar per la regia, e nemmeno con Whiplash, pellicola che lo ha portato alla ribalta.



In realtà ad uno sguardo più attento, in First Man - Il Primo Uomo c'è sia la malinconica storia d'amore fra l'aspirante attrice Emma Stone e il musicista jazz Ryan Gosling, che la vibrante rivalsa del batterista interpretato da Miles Teller, e anche quel pizzico di cattiveria che l'iconico Fletcher portava sullo schermo in Whiplash. C'è tutto il cinema di Chazelle nella storia di Neil Armstrong, dello sbarco sulla Luna, dell'uomo che sorpassa i suoi limiti per arrivare là dove nessuno era mai andato prima, per ritrovarsi comunque solo con se stesso, con la propria vita, i propri amori e le proprie perdite da affrontare, ma in un certo senso liberi, come se l'essere riusciti a giungere al di là di qualsiasi altra conquista umana fino a quel momento, non fosse altro che una rinascita interiore portata a compimento.

Lungi dall'essere perciò una vuota celebrazione patriottica di un'eroe americano, First Man diventa un racconto intimo su un uomo che è in realtà simbolo di un'umanità intera, ma sempre comunque un uomo.
Sicuramente grandissima parte del merito va alla regia di Chazelle e in generale all'intero comparto tecnico che crea suggestioni di immagini e musica da brivido, ma anche e soprattutto ai due interpreti principali, Ryan Gosling e Clare Foy, entrambi fautori di un'interpretazione intensa e misurata ma di grandissimo impatto emotivo.

Chi si aspetta un film adrenalinico rimarrà sicuramente deluso, First Man è il ritratto di un uomo che mischia inadeguatezza familiare, fragilità emotiva e slanci di eroismo universale con grande delicatezza, e senza mai andare fuori tema, né deviare verso la spettacolarizzazione facile o il patriottismo fine a se stesso, riesce a essere molto più che un film sul primo uomo che sia mai andato sulla Luna.
Con maestria ed eleganza, Damien Chazelle ci accompagna per due ore in un film che regala lacrime e brividi sinceri e mai forzati, dimostrandosi ancora una volta un maestro di cinema di grande emozione.

domenica 28 ottobre 2018

Disobedience - la recensione

Ancora una storia di donne per il regista cileno premio Oscar Sebastian Lelio, che per il suo debutto in lingua inglese ha scelto l'adattamento del romanzo "Disobbedienza" di Naomi Alderman.

Londra, in un quartiere periferico della metropoli vive la comunità ebreo ortodossa, in lutto per la scomparsa del rabbino capo, figura importante e molto rispettata. Questo evento porta Romit (Weisz), unica figlia del rabbino che ha abbandonato la comunità ormai da tempo, a tornare a casa per assistere al funerale del padre. Lì ritrova il cugino Dovid (Nivola), estremamente dedito alla sua fede, "figlio spirituale" e successore predestinato del rabbino defunto, ma soprattutto ritrova Esti (McAdams), che, con grande sorpresa di Romit, è ora sposata con Dovid diventando una moglie devota e una fedele credente. Tra Romit ed Esti ci sono dei trascorsi, un amore giovanile troncato, e l'incontro tra le due riaccende una incontrollabile passione che porta turbamenti all'interno della comunità.

Se si cerca sul vocabolario la parola "disobbedienza" si legge: trasgressione ad un ordine, atto di resistenza passiva alle leggi. E' esattamente quello che viene raccontato in Disobedience. Un titolo perfetto per una storia che va oltre l'amore e la passione carnale tra le due protagoniste. In una comunità rigida come quella descritta, l'arrivo di Romit, un'anticonformista che ha addosso la "macchia" della disobbedienza, crea un inevitabile turbamento in un'atmosfera soffocata in cui tutti seguono rigidamente delle regole: l'uomo comanda, tutti sono vestiti uguali, le donne indossano abiti scuri e delle parrucche per coprire i capelli, le case e i giardini sono curati e perfetti. Romit è l'elemento di rottura che risveglia in Esti non solo la passione e il desiderio fisico, ma soprattutto l'improvviso bisogno di libertà.
La disobbedienza descritta nel film non è un atto urlato, rabbioso o liberatorio, è un più un sofferto e sospirato passo verso una personale consapevolezza, verso la libertà di scelta, il libero arbitrio.



La bravura di Sebastian Lelio sta nel mostrare tutto questo in modo semplice, profondo, puntando molto sui particolari. Grazie anche a un'ottima fotografia, la descrizione della comunità e dei riti ebraici, dell'atmosfera, è talmente precisa che al regista basta immergere i personaggi nel contesto per mostrare quanto Romit sia un elemento di disturbo: i suoi capelli sciolti, il suo modo di vestire, il suo modo di parlare, le sue idee. E in questo contesto bastano pochi sguardi per cogliere il desiderio di Esti nei confronti di Romit.

Ottimo il cast. Le "due Rachel" sono stata una scelta davvero perfetta. La presenza scenica è una dote naturale di Rachel Weisz (anche produttrice del film) e lei riesce sempre a metterla al servizio del suo personaggio. In questo film incarna perfettamente e con grande naturalezza tutti gli aspetti del suo personaggio: figlia rinnegata, elemento di disturbo, pietra dello scandalo, anticonformista, oggetto del desiderio. Allo stesso modo, Rachel McAdams riesce a trasmettere la sottile ma repentina trasformazione del suo personaggio. L'intesa tra le due attrici è ottima, bastano gli sguardi, i gesti, ma anche quando non si guardano si percepisce la connessione e il desiderio tra i due personaggi. Le due attrici sicuramente catturano l'attenzione, ma non bisogna dimenticare il terzo elemento del triangolo, perché quella del film non è una storia a due ma a tre, e il terzo è Alessandro Nivola, molto bravo nel ruolo di un rabbino schiacciato dai suoi doveri ma pronto a fare uno sforzo verso, e non contro, chi "trasgredisce".

Disobedience è un ottimo film in cui, al di là della passione, della storia d'amore tra due donne, dei tabù imposti della religione, si parla di come a volte l'essere umano per affermare se stesso non può fare altro che disobbedire, e come questo sia parte stessa del suo essere.

[RomaFF13] Stan & Ollie - la recensione

Stanlio e Ollio (Oliver and Hardy in originale) sono stati probabilmente il più grande e famoso duo comico di tutti i tempi. I loro film sono ancora adesso, a distanza di decenni, divertentissimi ed è davvero impossibile non fermarsi a guardarli quando li si trova per caso in televisione.
Eppure chi erano veramente Stan Laurel e Oliver Hardy è qualcosa che quasi nessuno sa, perché separare gli uomini dai loro personaggi è dura, quando si tratta di personaggi tanto iconici.



Ci prova John Baird, prendendo spunto dal romanzo Stan and Ollie: The Roots of Comedy: The Double Life of Laurel and Hardy adattato dallo sceneggiatore Jeff Pope, in un film che vuole essere molto più che un biopic, ma un sentito e sincero omaggio agli uomini dietro la maschera.
Steve Coogan e John C. Reilly sono Stan e Oliver, aiutati da una somiglianza straordinaria con le loro controparti e un trucco di altissimo livello, tanto che dopo pochi secondi dall'inizio del film ci si dimentica di trovarsi di fronte a due attori che ne interpretano il ruolo. Non era sicuramente facile, proprio a fronte di una iconicità dei personaggi, ma loro ci riescono benissimo regalando due interpretazioni molto intense, sofferte, ma anche divertite e divertenti, che sarà difficile dimenticare molto presto.


Nonostante i ruoli che Stanlio e Ollio ricoprivano sullo schermo nelle loro comiche, Hardy era vanesio e svagato, dedito al gioco di azzardo e con una sequela di matrimoni alle spalle, mentre Laurel si può definire uno stacanovista, pignolo e con una certa mania del controllo: si occupava di scrivere tutte le battute e gli sketch del duo; sicuramente l'intellettuale fra i due, il cui carattere non facile era anche causa di scontri. Baird li mostra senza veli e senza filtri, al di là dei personaggi, mostra gli uomini con i loro difetti e le loro incomprensioni, ma soprattutto ciò che colpisce è il racconto di quello che, in fin dei conti, è stato un sodalizio lungo tutta la vita, un'amicizia profondissima e totalizzante fra due personalità complementari che avevano disperato bisogno l'una dell'altra.

Il tour in Gran Bretagna, quando i due sono ormai anziani e in una fase di declino, diventa quindi l'opportunità di esplorare il loro rapporto e in questo la presenza delle due mogli è indispensabile a fare da contraltare a quella che per certi versi è un'amicizia morbosa, ma che si rivelerà pregna di tenerezza e reciproca profonda conoscenza.



Ma se si pensasse che questo sia un film di sola emozione gli si farebbe un torto, perché nonostante la componente emotiva sia sicuramente il punto di forza della pellicola e quello che colpisce maggiormente a un primo sguardo, bisogna dare atto a John Baird di non essersi limitato a girare in modo piatto, magari riproponendo semplicemente inquadrature prese dai vecchi film del duo, ma cerca di fare qualcosa in più, movimenti di macchina insoliti e interessanti, ed è significativo che il film si apra con un lungo piano sequenza con i due protagonisti intenti in una conversazione amichevole – mentre sullo sfondo passa la vecchia Hollywood – e che poi si chiuda malinconicamente con l'ultima esibizione pubblica e una ripresa di spalle suggestiva, in controluce, che lascia sicuramente il segno.


Sarebbe stato facile fare un film per i fan di Stanlio e Ollio, ma John Baird e Jeff Pope hanno fatto di più, mettendo in scena un sodalizio professionale che è una vera e propria amicizia di una vita, divertendo ed emozionando, senza tralasciare il lato tecnico e con due interpreti che hanno dato anima e corpo a questi personaggi così importanti nella storia del cinema. 
Di film così se ne sente sempre il bisogno.

sabato 27 ottobre 2018

Bohemian Rhapsody - la recensione

Dopo una gestazione durata anni, ecco finalmente sugli schermi inglesi (e, presto, mondiali) una delle storie più incredibili dei nostri tempi, quella di Farrokh Bulsara (Rami Malek), un ragazzo di origini umili, figlio di immigrati parsi, destinato a diventare leggenda.
Il biopic dai colori accesi apre il suo sipario su un Wembley Stadium gremito, pochi istanti prima del suo ingresso sul palco, per poi riportarci indietro, quando un Freddie Mercury poco più che ventenne lavorava come facchino all'aeroporto internazionale di Heathrow, una divisa che gli stava visibilmente "stretta". Freddie scrive canzoni e sogna... Tant'è che una sera, sgattaiolando ad un concerto, conosce Brian May (Gwilym Lee) e Roger Taylor (Ben Hardy), e si fa ingaggiare come cantante per la band "Smile".
Il resto è storia della musica!

Ciò che emerge è da subito la vena creativa che contraddistingue il percorso artistico dei Queen, i quattro sono pronti a vendersi il furgone, loro unico mezzo di trasporto, per incidere il primo pezzo, a usare mestoli, pentole e ogni sorta di utensile da cucina in uno studio di registrazione, o a comporre e registrare "Bohemian Rhapsody" in un fienile. Il loro fare musica è tutto cuore, passione, e divertimento, la concezione di musica come rifugio da dipingere, decorare, arredare, e il loro sentirsi una famiglia, con tutte le delusioni e le soddisfazioni che una convivenza può portare, è lo strumento di connessione che hanno con il mondo e con il pubblico.
"I want to give them a song they can perform!", esclama Brian May, proponendo a Freddie il ritmo di "We Will Rock You". Ed ecco che quattro ragazzi, con il loro sogno, fanno (e continueranno a far) cantare generazioni di persone. La chiusura ciclica ci riporta a Wembley, durante il Live Aid del 1985, tappa finale dei 15 anni di carriera raccontati. A rendere il tutto fluido, ci sono una colonna sonora e un montaggio ben amalgamati.



Con la sua durata di ben 2h 15m, il film mette il luce un Freddie sicuro di sé, attento allo stile, curato, ricercato ed estroso, e la sua testardaggine, il suo egocentrismo, ma accentua anche le crepe del suo animo tormentato. Il conflitto interiore circa la sua sessualità è trattato con dolcezza e rispetto, il suo continuo senso di vuoto, la ricerca di evasione da una soffocante solitudine, e quella stessa famiglia che talvolta rifugge come unica cura a tutto questo dolore. Sebbene sia impossibile non versare qualche lacrima, il film continua ad essere un grido di speranza, per i sognatori, per gli amanti, per chi combatte tutti i giorni i suoi demoni, per chi sta per arrendersi.

La regia, com'è noto, fu affidata inizialmente a Bryan Singer, rimosso dall'incarico a tre settimane dalla fine della lavorazione, al quale è subentrato tempestivamente Dexter Fletcher. Ne risulta un'opera a quattro mani valida, raramente banale.
Singer ha anche firmato la sceneggiatura, molto delicata, e che apparentemente può sembrare superficiale, ma dove si vuole evidenziare non il Freddie Mercury dei rotocalchi che tutti conoscono, bensì quello più profondo, scavando in quegli aspetti che nel quotidiano si tendono a dimenticare parlando di una superstar.
Non manca qualche momento comico, i cui tempi sono molto congeniali, e che alleggeriscono un po' la complessità di alcune scene. Il trucco e la ricostruzione di outfit ed ambientazioni sono il fiore all'occhiello di questa pellicola, che sembra ipnotizzarci e portarci indietro nel tempo.

Il cast è di ottima qualità, anche se in alcune occasioni le performance risultano sottotono. Su tutti spicca ovviamente Rami Malek. Un Freddie Mercury intenso, imponente, magnetico, ma anche tenero e commovente. In alcune sequenze si fa fatica a distinguere la sua silhouette da quella delle immagini di repertorio e video ufficiali, forse anche grazie a un lip sync che inganna non solo vista e udito, ma anche il cuore... che salta qualche battito.

giovedì 25 ottobre 2018

Scorsese e DiCaprio di nuovo insieme per Killers of the Flower Moon

Si rinnova la proficua collaborazione tra il regista Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio.

L'occasione stavolta è il film Killers of the Flower Moon, adattamento del romanzo best-seller di David Grann, che la Imperative Entertainment ha appena iniziato a sviluppare. Il film sarà diretto da Scorsese, a curare la sceneggiatura sarà Eric Roth (Forrest Gump, Insider), e vedrà come protagonista Leonardo DiCaprio, coinvolto anche come produttore con la sua Appian Way.

"Quando ho letto il romanzo di Grann, ho iniziato immediatamente a vederlo, i personaggi, le ambientazioni, l’azione", ha dichiarato recentemente Scorsese. "Sapevo che ne avrei fatto un film. Sono davvero entusiasta di lavorare con Eric Roth, e di tornare a lavorare con Leo, per portare sullo schermo questa inquietante vicenda americana". Le riprese dovrebbero iniziare nell'estate del 2019.

In realtà, era da un po' che Martin Scorsese inseguiva questo progetto. Se n'era già parlato nel 2017 ma in quel caso il regista aveva ipotizzato una possibile collaborazione con un altro suo attore feticcio, Robert De Niro. Del progetto poi non se ne seppe più nulla, fino ad oggi, solo che invece di De Niro ci sarà Leonardo Di Caprio, pronto alla sua sesta collaborazione con Scorsese dopo Gangs of New York, The Aviator, The Departed, Shutter Island, The Wolf of Wall Street, a cui bisogna aggiungere anche il cortometraggio The Audition.


Ambientato negli anni '20, il libro di Grann racconta una pagina inquietante della storia americana, una serie di omicidi in Oklahoma che iniziano quando viene scoperto un giacimento di petrolio nella nazione dei nativi americani Osage. Una scoperta che portò molta ricchezza tra le persone che abitavano quel luogo, le stesse persone che poi però vennero uccise, una ad una. Questa fu una delle prime indagini della neonata FBI, che dietro la serie di omicidi scoprì una cospirazione ricordata come uno dei crimini più inquietanti della storia americana.

martedì 23 ottobre 2018

[RomaFF13] Se la strada potesse parlare - la recensione

Barry Jenkins torna alla Festa del Cinema di Roma dopo il meraviglioso Moonlight, vincitore dell'Oscar come miglior film nel 2017, e lo fa con Se la strada potesse parlare, tratto da un romanzo di James Baldwin, ed è un film tanto diverso quanto simile al precedente. 


Siamo sempre nell'America nera, quel ghetto che è diventato ormai simbolo di ingiustizia e prevaricazione senza speranza, ed è sempre una storia d'amore a essere protagonista della storia, ma dove Moonlight descriveva in tre atti distinti la crescita e la presa di coscienza di sé di Chiron, bambino che diventa uomo, qui il racconto è molto più corale e gira intorno a Alonzo, detto Fonny, e Tish, due ragazzi come tanti che sognano una vita insieme, che si amano e vivono quotidianamente la discriminazione, fino a quando questa non diventa prevaricazione, ingiustizia, e una vera e propria "caccia alle streghe"che porterà Fonny in prigione, accusato di uno stupro che non avrebbe mai potuto commettere, e Tish a una lotta senza via d'uscita per riportare il suo innamorato da lei.

Barry Jenkins ha la straordinaria capacità di raccontare storie con la delicatezza di una fiaba, di descrivere l'amore in ogni suo aspetto, che sia esso romantico o sensuale, o semplicemente la vita di tutti i giorni, senza mai diventare melenso o banale o noioso, senza fatica si rimane rapiti dalla storia di Tish e Fonny. 
Oltre la storia d'amore, questa delicatezza, meravigliosamente incarnata dalla voce e dal volto di Kiki Layne, si ripercuote su tutto, dalla famiglia di Tish, unita e piena di amore e di gioia, a quella fondamentalista e oppressiva di Fonny, finanche alla strada, quella strada che se potesse parlare racconterebbe di violenze e soprusi, di povertà e razzismo, ma anche di due giovani innamorati che camminano insieme sotto la pioggia o si abbracciano per festeggiare una vita che sta solo per iniziare.


Non è facile rimanere indifferenti davanti a quanto si vede sullo schermo e in più di un'occasione la commozione può prendere il sopravvento, ma non è mai imposta, Jenkins non spinge mai sul tasto del dramma, anche quando di dramma ce ne sarebbe moltissimo, ed è proprio questa la grande forza del suo cinema, l'abilità nel rendere naturali le emozioni, in un certo ottimismo di fondo che lascia un sorriso sulle labbra. 
Guardiamolo bene questo film, perché se con Moonlight vi era stata la sorpresa, adesso con Se la strada potesse parlare abbiamo la conferma che Barry Jenkins potrà dire la sua anche in questa stagione.