giovedì 30 novembre 2017

National Board of Review: The Post di Steven Spielberg è il miglior film

Il National Board of Review, organizzazione no profit di New York che si occupa di Cinema, ha incoronato il nuovo film di Steven Spielberg, The Post, come il miglior film dell'anno.

Non solo, i protagonisti del film, Tom Hanks e Meryl Streep, hanno vinto i premi come migliore attore e migliore attrice. Il film di Spielberg sarà sicuramente tra i protagonisti della stagione dei premi (Oscar? Golden Globes?).

Il premio per la migliore regia è andato all'attrice Greta Gerwig per il suo apprezzato film d'esordio Lady Bird, pellicola che si è aggiudicata anche il premio per la migliore attrice non protagonista, andato a Laurie Metcalf. Migliore attore non protagonista invece Willem Dafoe per The Florida Project.
Paul Thomas Anderson invece ha ricevuto il riconoscimento per la migliore sceneggiatura del suo nuovo film Il Filo Nascosto (ultimo film di Daniel Day-Lewis). Coco, della Disney/Pixar, è il miglior film d'animazione.

Oltre ai premi, l'NBR ha stilato anche la sua solita classifica dei migliori film dell'anno, in cui spicca Logan.

Ecco tutti i premi.

Miglior film: The Post
Miglior regia: Greta Gerwig, Lady Bird
Miglior attore: Tom Hanks, The Post
Miglior attrice: Meryl Streep, The Post
Miglior attore non protagonista: Willem Dafoe, The Florida Project
Miglior attrice non protagonista: Laurie Metcalf, Lady Bird
Miglior sceneggiatura originale: Paul Thomas Anderson, Phantom Thread
Miglior sceneggiatura non originale:  Scott Neustadter & Michael H. Weber, The Disaster Artist
Miglior film d'animazione: Coco
Scoperta dell'anno: Timothée Chalamet, Call Me by Your Name
Miglior regista esordiente: Jordan Peele, Get Out
Miglior film straniero: Foxtrot
Miglior documentario: Jane
Miglior cast: Get Out
Spotlight Award: Wonder Woman, Patty Jenkins and Gal Gadot
NBR Freedom of Expression Award: First They Killed My Father
NBR Freedom of Expression Award: Let It Fall: Los Angeles 1982-1992

Migliori film
Baby Driver
Chiamami con il tuo nome
The Disaster Artist
Downsizing
Dunkirk
The Florida Project
Get Out
Lady Bird
Logan
Phantom Thread

martedì 28 novembre 2017

Gotham Awards 2017: Chiamami col Tuo Nome è il miglior film!

Antipasto della stagione dei premi ormai imminente con i Gotham Awards, premi per il cinema indipendente assegnati da una giuria di figure professionali del mondo del Cinema (registi, sceneggiatori, produttori, ecc).

A vincere il premio per il miglior film è stato Call Me by Your Name (Chiamami col Tuo Nome) di Luca Guadagnino. Un premio che mette il film tra i papabili per una nomination ai prossimi Golden Globes e Oscar.
Altro premio per il film di Guadagnino quello a Timothée Chalamet, premiato come migliore attore emergente.
Il film uscirà l'8 febbraio in Italia.

Saoirse Ronan (Lady Bird) e James Franco (The Disaster Artist) si sono invece portati a casa i premi come migliore attrice e attore, e anche loro si propongono per un posto nelle cinquine di Oscar e Golden Globes.
Tre riconoscimenti per uno dei titoli dell'anno, l'horror/thriller Get Out, che si è portato a casa miglior regista emergente, migliore sceneggiatura e il premio del pubblico.

Ecco l'elenco dei vincitori.

Miglior film
Call Me by Your Name

Migliore attrice
Saoirse Ronan – Lady Bird

Migliore attore
James Franco – The Disaster Artist

Audience Award (premio del pubblico)
Get Out

Miglior documentario
Strong Island

Migliore regista emergente
Jordan Peele – Get Out

Migliore sceneggiatura
Jordan Peele – Get Out

Migliore attore emergente
Timothée Chalamet – Call Me by Your Name

Premio speciale della giuria per il miglior cast
Mudbound

Migliore serie rivelazione (lunga)
Atlanta (FX Networks)

Migliore serie rivelazione (corta)
The Strange Eyes of Dr. Myes

Made in New York Award
Michael Kenneth Williams

Premio alla carriera
Jason Blum - Sofia Coppola - Al Gore - Dustin Hoffman - Nicole Kidman - Ed Lachman

martedì 21 novembre 2017

Justice League - la recensione

Il DC Extended Universe non è un universo cinematografico particolarmente fortunato, fatto che abbiamo potuto notare con i cinecomic usciti fino ad ora. Justice League sarà riuscito a risollevare un po' le sorti del tutto? Probabilmente no.

Una produzione particolarmente travagliata ha accompagnato la lavorazione del lungometraggio, passato dalle mani di Zack Snyder, che ha abbandonato la regia a causa di una tragedia famigliare, a quelle di Joss Whedon, conosciuto non solo per i suoi lavori televisivi ma anche per i due capitoli cinematografici dedicati ai Vendicatori Marvel. Purtroppo (e in alcuni frammenti per fortuna) la mano di Whedon si sente, anche se tuttavia non giova all'economia del lungometraggio che risulta in fin dei conti un pasticciatissimo cinecomic senza una propria identità. Senza anima, se vogliamo metterla in termini più drammatici.

A differenza della controparte Marvel, il DCEU non ha avuto modo di presentare al meglio i propri supereroi e questo si sente, si sente terribilmente, nonostante si cerchi in qualche modo di presentare un background di personaggi solo accennati fino a Batman v Superman: Dawn of Justice, come Aquaman (Jason Momoa), Flash (Ezra Miller) e Cyborg (Ray Fisher). Gli unici che godono di questa fortuna sono Superman (Henry Cavill), Wonder Woman (Gal Gadot) e in parte Batman (Ben Affleck), come ben sappiamo. È difficile quindi parlare di un film riuscito quando i presupposti sono questi.

Il team funziona a tratti e le riprese aggiuntive sono platealmente palesi durante la visione. Non c'è omogeneità nemmeno sul piano tecnico, a partire da effetti speciali invadenti e a tratti imbarazzanti fino ad arrivare ad una colonna sonora curata da Danny Elfman che funziona solo quando vengono ripresi temi musicali cari ai fan di Batman e Wonder Woman. Un villain sbucato quasi dal nulla (si accennava a lui solo in una scena di Batman v Superman) che risulta quasi comico per come ci viene mostrato, condisce in maniera terribilmente tratteggiata e superficiale una storia vuota e troppo frettolosa.

A differenza degli altri progetti però Justice League gode (e forse anche troppo) di un atmosfera decisamente goliardica in certe sequenze, che, anche se in maniera del tutto gratuita e quasi mai efficace, riesce a strappare un piccolo sorriso allo spettatore medio.

Quale futuro per l'Universo DC? Sono in arrivo (salvo cambi di programma) film standalone su Flash (Flashpoint), Aquaman, Batman (?), senza contare i sequel di Wonder Woman e L'Uomo d'Acciaio. Qualche sentore di cambiamento positivo si avverte in Justice League. Speriamo basti per risollevare le sorti di un Universo fastidiosamente confusionario.

lunedì 20 novembre 2017

Ogni Tuo Respiro - la recensione

Robin Cavendish (Andrew Garfield) è un giovane pieno di vita, che ama viaggiare e fare sport, per colpa della poliomelite si ritrova, a soli ventotto anni, paralizzato dal collo in giù e attaccato a un respiratore artificiale. Solo grazie all'incredibile forza d'animo di sua moglie Diana (Claire Foy), Robin riesce ad uscire dalla profonda depressione in cui la diagnosi lo ha gettato e ad andare avanti con la sua vita, diventando un vero e proprio attivista in favore delle persone con gravi disabilità.


Andy Serkis, acclamato per i suoi ruoli in motion capture, sceglie proprio la storia di un uomo totalmente immobile per il suo esordio dietro la macchina da presa, dimostrando di non essere solo un grande attore, ma di saperci fare anche come regista.
Serkis dirige in modo molto classico e pulito, valorizzando gli ampi paesaggi e allo stesso tempo utilizzando i primi piani quando si tratta di dare enfasi alle emozioni dei suoi personaggi, in particolare i due protagonisti, Andrew Garfield e Claire Foy, qui intensi e con un'ottima chimica. Va fatta però una menzione alla performance doppia di un sempre fantastico Tom Hollander, nel ruolo dei gemelli fratelli di Diana.

E' inevitabile un paragone con La teoria del tutto, se non altro per la similitudine fra le due storie, ma ben presto il tono di Ogni tuo respiro si discosta piuttosto nettamente dal film che è valso l'oscar a Eddie Redmayne. Serkis racconta una storia che è sì commovente e di grande coraggio, ma lo fa con una leggerezza e un'ironia di fondo molto inglesi, senza patetismo, senza ricercare la lacrima a tutti i costi, anzi, cercando spesso il sorriso, esprimendo fino all'ultimo una grande gioia di vivere,con toni decisamente più leggeri di quelli visti negli altri film che trattano argomenti simili, sfociando addirittura in una dimensione in un certo qual modo fiabesca.

Non è un film perfetto, certamente, e soffre delle ingenuità di un'opera prima, ma di sicuro è un film che colpisce e rimane nel cuore dello spettatore. Bravo, Andy!

venerdì 17 novembre 2017

La Signora dello Zoo di Varsavia - la recensione

La Seconda Guerra Mondiale è stata teatro di eventi drammatici che hanno segnato in modo indelebile la Storia, ma anche di esempi di grande coraggio, storie che il Cinema continua giustamente a riproporre e raccontare, come quella, meno nota, accaduta in uno zoo in Polonia.

Varsavia, 1939, i coniugi Zabinski gestiscono con grande passione lo zoo della città, che ospita animali di vario tipo, anche esotici. Quando la città viene bombardata e occupata dai nazisti, lo zoo viene distrutto e sequestrato dai soldati tedeschi per farne un deposito di armi. I coniugi riescono ad ottenere dal capo zoologo del Reich il permesso per rimanere aperti con la scusa di un allevamento di maiali per fornire cibo alle truppe tedesche, mentre in realtà si adopereranno per far uscire gli ebrei dal ghetto, nasconderli nelle gabbie sotterranee, e aiutarli a fuggire da Varsavia. Alla fine della guerra i coniugi Zabinski riusciranno a salvare centinaia di ebrei, ottenendo un meritato riconoscimento nel giardino dei Giusti dello Yad Vashem di Gerusalemme.

Basato sul romanzo "Gli ebrei dello zoo di Varsavia" di Diane Ackerman, il film parte da un contesto diverso e originale rispetto ad altri film sul tema, quello dello zoo. Un "micro-cosmo" perfetto e pacifico che fa da contrasto alla brutalità della guerra, e su questo punto la regista Niki Caro insiste molto, forse anche troppo, finendo per dimenticare il resto.
Il problema principale del film è che il valore e l'importanza di una storia straordinaria come quella dei coniugi Zabinski non viene valorizzata abbastanza dalla resa cinematografica, troppo "edulcorata" e superficiale, con dei dialoghi piatti, zero tensione, sia emotiva che storica, e uno svolgimento che inizia a correre troppo proprio quando avrebbe dovuto scavare in profondità, con più durezza e realismo, nel dramma e nella disumanità dei nazisti.

A causa di questa superficialità, il film "spreca" la sempre brava Jessica Chastain, e questo è un vero peccato. Grazie alla sua grande sensibilità, e nonostante dei dialoghi non sempre all'altezza, l'attrice rende vivo e pulsante il personaggio di Antonina Zabinska, e regala al film i suoi momenti migliori, e di conseguenza quando lei non c'è il film soffre. Nonostante sia la protagonista infatti, c'è troppa poca Jessica Chastain in questo film.

La Signora dello Zoo di Varsavia è un film che parte con delle buone intenzioni ma poi pecca nella resa, è troppo timido nel raccontare la crudeltà e il dramma di quel periodo, ma è un film utile per conoscere una storia incredibile che era giusto raccontare. Sicuramente una visione la merita, magari dal divano di casa.

giovedì 16 novembre 2017

The Place - la recensione

Un uomo (Valerio Mastandea) si siede ogni giorno allo stesso tavolino in un bar, il The Place, dove si incontra con persone che vogliono qualcosa. In cambio dell'esaudimento dei loro desideri, l'uomo gli chiede di fare una scelta.


Dopo lo straordinario Perfetti Sconosciuti, Paolo Genovese torna a mettere insieme un film corale, con moltissimi personaggi e con un unico setting in cui si svolge l'intera vicenda.
Il plot del suo nuovo film è davvero originale e interessante: si parla di libero arbitrio, di scelte, di bene e male, il tutto con un alone di mistero che non viene mai davvero spiegato, lasciando alla sensibilità dello spettatore di trarre le proprie conclusioni, immaginando se l'uomo misterioso sia solo un uomo, o il diavolo, o qualcos'altro. Da questo punto di vista The Place è un film estremamente affascinante, probabilmente il film italiano più intrigante degli ultimi anni, sicuramente qualcosa che assai raramente si vede sui nostri lidi dove quasi nessuno ha il coraggio di osare e uscire dagli schemi dei soliti drammi o commedie generazionali italiane. Genovese invece osa, ambienta l'intera pellicola in un unico luogo, non allontanandosi mai da quel tavolino in quel bar, lo spettatore non vede mai gli eventi, ma ne ascolta i racconti dettagliati, le sensazioni a posteriori, seguendo invece la giornata ripetitiva e forse noiosa dell'uomo misterioso, la cui unica distrazione sono i piccoli momenti di confidenza con la cameriera interpretata da Sabrina Ferilli.

La regia è molto statica e pecca eccessivamente in dissolvenze troppo nette, avrebbe sicuramente giovato un maggior dinamismo nella ripresa proprio per dare movimento a un'ambientazione così claustrofobica. 
Il cast è stellare e quasi sempre all'altezza, ma dove il film si affossa è proprio, paradossalmente, dove avrebbe dovuto brillare di più, ovvero nella sceneggiatura. In un film come questo, così tanto parlato, basato proprio sullo scambio fra due personaggi e sul botta e risposta, è davvero imperdonabile una sciatteria simile nei dialoghi, che sono banali, piatti, spesso oltre il limite della frase fatta da cioccolatino. L'intera pellicola risulta quindi noiosa e spesso fastidiosa, man mano che si va avanti, quando si dovrebbe tirare i fili delle coincidenze e dell'intreccio, ecco che la sceneggiatura diventa didascalica, proclamando più e più volte i concetti chiave del libero arbitrio e dell'anima umana, lì dove invece il principio dello show, don't tell sarebbe stato invece fondamentale. 
Si ha la sensazione orribile dell'occasione mancata, del potenziale capolavoro sprecato per mancanza di impegno, perché di film interamente basati sulla sceneggiatura e sui dialoghi ce ne sono molti e spesso sono splendidi, ma non si possono scrivere così, con questi dialoghi, e dispiace perché dalla penna di Perfetti Sconosciuti, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, era lecito aspettarsi molto di più.