martedì 23 maggio 2017

Alien: Covenant - La Recensione

"E sul piedistallo, queste parole cesellate:
«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!»
Null'altro rimane. Intorno alle rovine"
Tratto da Ozymandias, di Percy Shelley

Percy Shelley, nel 1818 rifletteva sulla vacuità e la caducità del potere e della gloria, ed è un po' quello che fa anche Ridley Scott in Alien: Covenant, con l'arduo compito di sistemare il pasticciaccio brutto che Damon Lindelof, sceneggiatore di Prometheus, gli ha combinato nel 2012.
Però, per analizzare questo film, bisogna partire da lontano, nello specifico dal 1979, anno di uscita di Alien, film che ha ispirato generazioni di registi, con la sua potenza visiva e la capacità di terrorizzare. Poi venne Aliens, messo nelle mani di James Cameron, cosa mai andata a genio al signor Scott, per la cronaca, che confeziona un prodotto fresco, più in linea col periodo cinematografico che si venne a creare negli anni '80 e quasi migliore del primo capitolo, con colpi di scena mai solo per la mera voglia di stupire e interessantissimi  spunti per i film futuri.
A seguito di questi due pilastri dell'horror e della fantascienza, venne il turno di Alien³, diretto da David Fincher, che ha declinato la sua passione e maestria al servizio dello Xenomorfo, incartando un prodotto che però non si è rivelato all'altezza delle aspettative. Ultimo, ma non per ultimo, arriva Jean Pierre Jaunet, che fa il pastrocchio, con Alien - La Clonazione, lasciando tutti insoddisfatti per la conclusione dell'epopea di Alien.

Detto questo, arriviamo al 2012, anno dell'uscita nelle sale di Prometheus, prequel della saga lanciata da Ridley Scott, ma, per sua stessa ammissione, non voleva essere un semplice prequel, voleva espandere l'universo creato nel '79, a maggior ragione dopo che Neil Blomkamp si era candidato alla regia di un ipotetico sequel di Aliens, film da sempre screditato da Scott. L'obiettivo è chiaro, la strada da percorrere, complice una sceneggiatura debole, per usare un eufemismo, è diversa. Si vuole indagare sulla nascita degli alieni, ma questi, per buona parte del film, non si fanno vedere. Grazie anche ad una serie di personaggi ridicoli nei loro ruoli professionali e linee di dialogo mai veramente accattivanti, il film viene salvato dalla messa in scena e resa visiva di Scott, che sa di essere un gran regista, dimostrandolo, e dalle interpretazioni di alcuni attori, Rapace e Fassbender su tutti nel ruolo di David, il sintetico. Il film non convince, visto anche il fatto che alcune scene chiavi o spiegazioni di tali, sono presenti solo nella versione estesa del film.
Il punto focale non sono più gli alieni preferiti di tutti, bensì ora al centro di tutto ci sono le figure dei sintetici, interpretati in questo filone da Fassbender, appunto, con gli xenomorfi a fare da terrificante sfondo a tutto ciò.

Sono passati 5 anni da tutto questo. Ridley Scott è tornato alla carica, e questa volta ha abbastanza raddrizzato il tiro, rispondendo ad alcune domande lasciate aperte.
Il film si apre con la Covenant, una nave coloniale con 2000 anime a bordo, pronta a raggiungere il nuovo mondo pronto a fare da culla alla razza umana. La nave procede nel suo viaggio mentre i membri dell'equipaggio ed i coloni sono avvolti nel criosonno che i capitoli precedenti ci hanno aiutato a conoscere. Un'emergenza ed un segnale sconosciuto porteranno la Covenant a cambiare rotta verso un nuovo mondo da esplorare, dove verranno a conoscenza di alcuni segreti sconvolgenti.

Esprimere un giudizio su questo film è un compito complesso per alcune ragioni, tutte riconducibili a Prometheus: il film scorre, grazie alla magistrale messa in scena del maestro Scott, purtroppo però suona per gran parte come uno spiegone, che mette pezze al film del 2012, rammenda e sistema qua e là, ma soprattutto toglie potere di continuity ad Aliens, proprio lui, sconvolgendo alcune regole che Scott stesso aveva contribuito a creare, come ad esempio quelle riguardanti la nascita e l'incubazione degli alieni stessi.
Il film spiega anche perché, a partire dal 1979 tutti i sintetici che si sono alternati al fianco dei protagonisti hanno, presto o tardi, sviluppato una attrazione sana o malsana, o nei confronti delle creature terrificanti che danno il nome alla saga.
Il punto di forza del film è di nuovo rappresentato da un immenso Michael Fassbender, in grado di dare profondità ai suoi personaggi, nonostante apparentemente privi di emozioni, in quanto non umani. Purtroppo, anche in questo capitolo, la "debolezza" proviene dai componenti umani dell'equipaggio, che peccano di ingenua curiosità, mettendo le mani un po' dappertutto senza esaminare, un po' come dei bambini al parco giochi; nota di merito va alla caratterizzazione però, che, complice un cortometraggio di presentazione pubblicato durante la campagna di marketing, crea relazioni interessanti.
La sceneggiatura fa il suo lavoro, come fosse un compitino, ma perlomeno è funzionale all'obiettivo del film, con pochi dialoghi davvero interessanti e quasi tutti coinvolgono quello che è il motore di questo film: Michael "Fassy" Fassbender.
Ma il punto di forza del film è quello che ci ha insegnato la paura degli xenomorfi. Le scene che vedono gli alieni in azione valgono il tempo speso in sala, con attimi di puro terrore alla vecchia maniera, che, però, purtroppo, occupano una parte deludentemente piccola della pellicola.

Tutto sommato il film è più che gradevole, con una direzione ben chiara nella struttura narrativa per questo secondo capitolo ed una programmata per i successivi, sperando che il maestro Ridley torni a terrorizzarci nello spazio, dove nessuno può sentirci urlare.

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