lunedì 31 ottobre 2016

Halloween: 5 film tra horror e risate

Halloween e i film horror, un binomio inevitabile. Nella notte più spaventosa dell'anno è ormai tradizione guardare film da brivido, ma tra zombie, vampiri, assassini spietati e mostri di vario genere, perché non farsi anche qualche risata?

Ecco 5 titoli di film perfetti per la notte di Halloween, ma capaci di divertire e adatti a un pubblico più vasto.

1. L'Alba dei Morti Dementi (2004)

Diretto da Edgar Wright, vede protagonisti Simon Pegg e Nick Frost, ed è il primo film della Trilogia del Cornetto.
Tra parodia e omaggio ai classici zombie movie (come si evince già dal titolo), condito da ironia e tanto humor nero, il film racconta di un'invasione di non-morti a Londra, con Shaun, trentenne dalla vita poco soddisfacente, che dopo una nottata passata a sbronzarsi in un pub, scopre che la città è invasa dagli zombie. Comincia così una spassosa lotta per la sopravvivenza.

Un piccolo cult che ha conquistato anche uno che di zombie se ne intende, George A. Romero.

2. Beetlejuice (1988)

Una coppia di giovani sposi, Adam e Barbara, muore in un banale incidente stradale, si ritrovano così catapultati in un bizzarro al di là, diverso da come l'avevano immaginato. Sono ancora nella loro amata casa ma in una esistenza incorporea, fantasmi in casa propria. Nonostante tutto, Adam e Barbara sono pronti a ritrovare la loro routine ma la casa, vuota per i vivi, viene comprata da una moderna coppia newyorkese, con una figlia amante del tetro. La coppia rivoluziona la casa rovinando la pace di Adam e Barbara che provano a reagire, tentano di spaventarli facendo i fantasmi, ma niente sembra scalfire i due nuovi inquilini. Come soluzione estrema decidono di chiamare uno specialista, il folle Betelgeuse (Beetlejuice).

Uno dei migliori film di Tim Burton, con effetti speciali "artigianali", quasi cartooneschi, trovate davvero geniali e divertenti, e un irresistibile Michael Keaton. Oscar per il miglior trucco (1989).

3. ParaNorman (2012)

Il film vede al centro della storia Norman, undicenne introverso, solitario, bullizzato a scuola, e grande appassionato di horror. Norman ha una particolarità: vede i fantasmi e può comunicare con i morti. Quando la maledizione della strega colpirà la sua cittadina risvegliando alcuni zombie, l'unico che potrà salvare tutti sarà proprio Norman.

Film in stop-motion, in pieno stile Laika Entertainment, ParaNorman è un piccolo capolavoro, uno dei film d'animazione più sottovalutati degli ultimi anni.

4. Benvenuti a Zombieland (2009)

In un mondo post-apocalittico, dopo che un'invasione di zombie ha decimato la popolazione, s'incontrano Columbus, un ragazzo che sta cercando i suoi genitori per vedere se sono ancora vivi, Tallahassee, cowboy fuori tempo che non teme gli zombie, e le sorelle Wichita e Little Rock, solo apparentemente indifese. Quattro sopravvissuti alla ricerca di un luogo di pace, un parco giochi, si ritroveranno a lottare contro gli zombie in una grande battaglia.

Quattro protagonisti perfetti, Jesse Eisenberg, Woody Harrelson, Emma Stone e Abigail Breslin, per un film che ha avuto un successo pazzesco e del tutto inaspettato, tra zombie e risate. Imperdibile il cammeo di Bill Murray.

5. Scary Movie 3 (2003)

Terzo capitolo della saga di Scary Movie, il primo diretto da un vero esperto del genere, David Zucker, e forse il migliore della serie. L'intraprendente giornalista Cindy Campbell decide di investigare su misteriosi eventi che stanno colpendo il pianeta, dalla videocassetta che porta morte, ai cerchi nel grano.

Parodia di tanti film, non solo horror, da The Ring a Signs, da Matrix a 8 Mile, il film dà vita a una serie di situazioni comiche demenziali spesso esilaranti. Nel cast Anna Faris, Charlie Sheen e Leslie Nielsen.

sabato 29 ottobre 2016

Doctor Strange - la recensione

Stephen Strange è un brillante neurochirurgo, ma arrogante e dall'ego smisurato, la sua vita fatta di riconoscimenti e denaro viene sconvolta da un violento incidente stradale che gli fa perdere l'uso delle mani. Dopo aver speso tutti i suoi soldi in infruttuosi tentativi di guarigione, si reca in Nepal, nell'antico tempio di Kamar-taj dove ha sentito parlare di miracolose cure. Qui, sotto la guida dell'Antico, scoprirà che c'è molto di più oltre il mondo che conosce, un universo dove la magia è reale e i nemici si muovono oltre il piano dell'esistenza fisica.

Quattordicesimo film del Marvel Cinematic Universe e secondo di questa fase tre, Doctor Strange era particolarmente atteso non solo perché vedeva il debutto di Benedict Cumberbatch nel mondo dei cinecomic, ma soprattutto perché l'introduzione del Multiverso, così importante nei fumetti, nel MCU promette di cambiare radicalmente quanto fatto sin ora con i Vendicatori e lanciare definitivamente la fase tre verso il prossimo Avangers: Infinity War.
Da un punto di vista prettamente narrativo questo nuovo capitolo non offre nulla di particolarmente originale oltre la classica storia di origine che la Marvel ci ha abituato a vedere fin dal suo esordio. Si può dire anzi che, proprio perché aveva il compito di introdurre lo spettatore. non solo ad un nuovo personaggio ma direttamente all'interno di un nuovo mondo, diverso e parallelo a quanto visto fin ora, può ricordare molto il primo Iron Man, dove il film con Robert Downey Jr doveva presentare l'intero progetto.

La scelta di Benedict Cumberbatch, perfetto nel ruolo del (non ancora) stregone supremo, è significativa, poiché attore di indubbio talento e grande carisma, tanto che potrebbe essere proprio lui a prendere le redini del MCU nell'eventualità che il suo collega Tony Stark andasse "in pensione".
Il cast di contorno fa un ottimo lavoro a sua volta: Tilda Swinton è una magnifica Antico e fuga ogni dubbio (l'Antico dei fumetti è un uomo anziano e più di un fan aveva storto il naso alla notizia del casting di una donna nel ruolo), e Mads Mikkelsen sopperisce con la sua presenza scenica alle solite carenze di caratterizzazione del villain che ormai sono tristemente tipiche dei lungometraggi Marvel.

Ciò che davvero impressiona e che rappresenta un'innovazione totale rispetto a quanto visto fin ora nei cinecomic, è l'aspetto visivo del film. Strange e gli altri stregoni si muovono in un incastro di dimensioni e scenari che ricordano Inception di Nolan, mondi presi dai più visionari quadri di Escher, in una rappresentazione surreale e colorata, figlia di una sottocultura anni '60 psichedelica che è tipica delle pagine soprattutto del primissimo Doctor Strange.
Infine un plauso va a Michael Giacchino, autore di una colonna sonora davvero meravigliosa che si amalgama perfettamente alle scene sia più intime che quelle più visionarie, con un paio di tracce addirittura indimenticabili.

Pur mantenendo una struttura lineare, tipica delle origin story Marvel, il film di Scott Derrickson rappresenta un punto di svolta importante nell'universo cinematografico Marvel, un'esperienza visiva coinvolgente e divertentissima. Da vedere preferibilmente in 3D.

lunedì 24 ottobre 2016

[Roma FF11] Lion - la recensione

Tratto da una storia vera, Lion racconta di Saroo, 5 anni, che mentre aspetta il ritorno di suo fratello in una stazione nella periferia estrema dell'India, sul finire degli anni '80, si perde e finisce a Calcutta, senza avere idea di come fare a tornare indietro né di dove esattamente sia casa sua. Adottato da una coppia australiana, Saroo (Dev Patel) diventa un giovane uomo brillante, ma i ricordi della sua prima infanzia e il senso di colpa verso la madre e il fratello perduti lo spingono a ricercare, armato solo di Google Earth e pazienza, il villaggio dove è nato.

Una storia vera, ma incredibilmente cinematografica, che il regista esordiente Garth Davis mette in scena concentrandosi principalmente su due momenti fondamentali della vita di Saroo: la sua infanzia in India, irrimediabilmente segnata dal suo smarrirsi, ritrovandosi a vivere per strada come centinaia di altri bambini di Calcutta, e la sua giovinezza in Australia, quando i ricordi iniziano a riemergere e Saroo si trova diviso fra la necessità di ritrovare sua madre e suo fratello e l'amore per la sua famiglia adottiva, in particolare per la madre verso cui ha fortissimi sentimenti di riconoscenza e istinto protettivo. Nicole Kidman, in questo ruolo, è davvero fantastica, riesce a incarnare la forza,l'amore, ma anche l'enorme fragilità di questa donna che ha dedicato la sua vita a dare amore a chi era in difficoltà. Ottima anche Rooney Mara, fidanzata di Saroo e prima ad appoggiare il suo progetto per ritrovare le sue origini, e David Wenham nel ruolo del padre adottivo.

La storia non è particolarmente imprevedibile, ma spinge sui sentimenti e riesce perfettamente a commuovere e ad emozionare moltissimo, non solo nel finale struggente ma fin da subito, e in questo è stata fondamentale e azzeccata la scelta del bambino che ha interpretato il piccolo Saroo.

Una storia che parla della ricerca di se stessi e delle proprie origini, ma soprattutto che parla di famiglia e amore nella forma più pura, un film che molto probabilmente ritroveremo nella stagione dei premi, grazie soprattutto a una Nicole Kidman in grandissimo spolvero. 


domenica 23 ottobre 2016

[Roma FF11] Swiss Army Man - la recensione

Swiss Army Man, presentato nella sezione Alice nella Città, è arrivato a Roma dopo aver vinto come miglior regia al Sundance Film Festival, e accompagnato da una curiosità spasmodica, data la trama decisamente particolare. Hank è un naufrago, bloccato su un'isola deserta e in procinto di tentare il suicidio, quando sulla battigia vede un cadavere. Fra lui e il cadavere, ribattezzato Manny, nasce una strana ma intensa amicizia che aiuterà Hank a tornare a casa.

Davvero bravissimi sia Paul Dano, nel ruolo di Hank, che Daniel Radcliffe in quello insolito del cadavere, trascinato continuamente a spalla, in continua decomposizione, vera star del film e punto focale della storia.
Con delle premesse tanto assurde non solo il film riesce a far ridere di gusto e di pancia, ma sorprende per delicatezza e intensità, delineando una bellissima amicizia, che aiuterà Hank, ma non solo, a riscoprire se stesso, fino a commuovere sinceramente nel finale.

Non c'è davvero molto da dire che non rovini la visione di un film che va scoperto man mano, in tutte le sue assurdità e follie, proprio come Hank che pian piano scopre Manny e arriva a volergli bene.
Un piccolo gioiello di genialità e genuinità quasi infantile.

venerdì 21 ottobre 2016

[Roma FF11] Genius- la recensione

Già presentato a Berlino. il film del regista teatrale Michael Grandage è la storia dell'amicizia fra l'eccentrico scrittore americano Tom Wolfe (Jude Law) e l'editor Max Perkins (Colin Firth) già scopritore di Fitzgerald e Hemingway, unico a vedere del potenziale e del talento nella prolissa ed arzigogolata scrittura di Wolfe. Il rapporto che si instaura fra i due uomini è totalizzante e scuoterà anche le vite di chi li circonda, come Aline (Nicole Kidman), la moglie di Wolfe, anche lei con aspirazioni artistiche ma, come spesso avveniva in quegli anni mai, realmente presa sul serio.

Genius è il classico film confezionato per piacere, fa leva sui sentimenti ed è perciò difficile rimanere indifferenti, in più è una storia vera, quindi non si riesce nemmeno ad obiettare sull'ennesimo genio maledetto, tanto brillante quanto incapace nelle relazioni sociali.
La derivazione teatrale del regista è evidente nella scelta delle location, quasi totalmente interne, escludendo un paio di scene all'aperto dal forte impatto emotivo, e la fotografia fredda che restituisce il clima degli anni '20-'30 del '900.

Ma è il cast il vero punto di forza e praticamente ciò su cui si regge l'intero film. Jude Law si dimostra ancora una volta uno degli attori più sottovalutati degli ultimi anni, ed è francamente inspiegabile dato che le sue doti sono sotto gli occhi di tutti. La sua interpretazione di Wolfe, con tutte le sue stranezze, il suo essere costantemente sopra le righe, è magnetica, si contrappone perfettamente a un sempre misurato e impeccabile Colin Firth. I due creano davvero una coppia perfetta, è facile immedesimarsi nei loro scontri, nel loro entusiasmo creativo, nei loro momenti di affetto sincero ed entrambi danno al finale, che sarebbe potuto risultare melenso, una grande intensità. Stupenda e bravissima anche Nicole Kidman, in un ruolo non facile come quello di Aline, donna che ha rinunciato a tutto per Wolfe e che se lo vede portare via dalla stessa Letteratura verso cui lo aveva spinto e dall'affetto di un altro uomo, l'unico probabilmente in grado di capire davvero suo marito.
Degno di nota anche Guy Pierce, uno splendido Scott Fitzgerald, ma bravissimi tutti (Laura Linney è la moglie di Perkins, e Dominic West è Ernest Hemingway).

Non c'è davvero nulla da dire contro Genius, un film dalla forma impeccabile, dalle interpretazioni magistrali e che tocca le corde dei sentimenti senza mai risultare retorico, nonostante gli arzigogoli poetici del suo protagonista.

giovedì 20 ottobre 2016

[Roma FF11] Florence Foster Jenkins - la recensione

Nuovo film dell'acclamato regista britannico Stephen Frears, che ci racconta l'assurda storia vera dell'ereditiera newyorkese Florence Foster Jenkins, vissuta nella prima metà del '900.

Eccentrica e con una passione immensa per la musica, Florence Foster Jenkins (Streep) aveva il sogno di diventare cantante lirica. Convinta di avere una voce celestiale, in realtà la donna era davvero una pessima cantante, con una intonazione a tratti tremenda. Nonostante questo, Florence si divertiva ad esibirsi, di solito per un gruppo ristretto di persone fidate. A sostenere il suo sogno, il marito e manager, l'ex attore St. Clair Bayfield (Grant), a cui poi si unì il giovane pianista Cosmé McMoon (Helberg). Bayfield, completamente devoto alla moglie, fece di tutto per proteggerla dalla realtà, dalle pessime recensioni e dai commenti maligni della gente che vedeva in Florence un'attrazione comica, ma le cose si fecero più complicate quando la donna decise di esibirsi alla prestigiosa Carnegie Hall, davanti a tremila persone. La sfida più grande mai affrontata, sia da Florence che da Bayfield.

Il film di Stephen Frears è una commedia, con dei momenti decisamente divertenti, ma al suo interno nasconde anche romanticismo e, in un certo senso, tragedia. Con grande maestria, Frears riesce sempre a mantenere un tono leggero, facendo affiorare in modo molto delicato i diversi aspetti della storia, e mettendo al centro non i fatti e le azioni ma i personaggi e le loro passioni. E' così che conosciamo il coraggio di una donna fragile che, non senza ingenuità, prova ad andare oltre i propri mezzi, le proprie capacità e i propri evidenti limiti, non per egoismo o superbia ma per divertimento e per passione; al suo fianco invece un uomo dedito alla propria compagna, perennemente preoccupato di difenderla dalle cattiverie della gente, spinto da un amore puro e profondo che va al di là del normale rapporto tra marito e moglie in un matrimonio, che, di fatto, non è mai stato consumato (a causa di uno dei quei risvolti tragici della storia che non riveleremo).

Protagonista del film una straordinaria Meryl Streep, divertente, emozionante, vocalmente perfetta anche nelle stonature, nel suo sguardo si riesce a vedere il tragico e il comico, ti fa davvero amare il personaggio di Florence, tanto da portarti a soffrire e tifare per lei. Se arrivasse la ventesima (!!!) nomination all'Oscar sarebbe assolutamente meritata. Davvero ottimo Hugh Grant, in quella che probabilmente è una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Molto bravo e divertente Simon Helberg, che interpreta il pianista McMoon.
Bella la fotografia e la ricostruzione degli ambienti. Il film meriterebbe di essere visto in lingua originale, per poter apprezzare i termini legati alla musica e alla lirica, spesso in italiano, Meryl Streep dice anche qualche parola nella nostra lingua durante l'incontro del suo personaggio con Toscanini, tutti particolari che purtroppo col doppiaggio andranno persi.

Emozionante, divertente e commovente, a trovargli un difetto potremmo dire che il film non scava in profondità e prende spudoratamente le parti della protagonista senza mai metterla in discussione, ma questo, più che un difetto, è una scelta precisa di Stephen Frears che ha puntato su una sana leggerezza. Florence Foster Jenkins è davvero un ottimo film.

martedì 18 ottobre 2016

[Roma FF11] Captain Fantastic - la recensione

Secondo film da regista dell'attore Matt Ross, Captain Fantastic è una storia strana, quasi surreale, eppure incredibilmente vera nelle tematiche che affronta, quali il lutto, la famiglia, ma soprattutto la paternità, con i suoi errori e le sue difficoltà.

Ben vive con i suoi sei figli isolato dal mondo, in una sorta di "repubblica platoniana" immersa nella natura, nel rispetto dell'altro, nell'esercizio fisico regolare e nel cibo sano. I suoi figli, anche i più piccoli, imparano subito non solo nozioni che vanno dalla politica alla fisica, ma anche a vedere il mondo in modo trasparente, senza barriere, persino quando si tratta di spiegare a una bambina di sei anni cosa è il sesso.
Ma una tragedia li costringe a tornare nel mondo normale, intraprendendo un viaggio on the road all'interno della società americana, in mezzo a persone troppo grasse, ragazzini intontiti dai videogiochi, ma anche parenti che hanno a cuore Ben e i suoi figli.

Matt Ross riesce abilmente a mescolare uno stile brillante "alla Wes Anderson", sia nelle riprese che nei coloratissimi costumi, con tematiche profonde, riflessioni sulla paternità, incarnata dal personaggio di Ben: è il miglior padre del mondo o il peggiore?
Lui crede fermamente nei suoi ideali marxisti, crede fermamente di star facendo il meglio per i suoi figli, arroccandosi su posizioni estremiste e scontrandosi con la società e la "normalità", ma, e qui sta la genialità del film, questa non è demonizzata, non è necessariamente cattiva, è solo un altro punto di vista, con lati negativi e positivi da tenere in conto.
Ben è quindi un uomo che si trova a dover fare i conti con le sue scelte, che non riguardano esclusivamente se stesso, ma coinvolgono i suoi figli, la loro salute, il loro futuro. Un compromesso è necessario? E' corretto sacrificare il loro ruolo nella società per preservarli dai "veleni" che essa porta con sé?

Il viaggio, un vero e proprio on the road a bordo di un vecchio minibus di nome Steve, diventa anche simbolico della presa di coscienza di Ben riguardo al proprio ruolo di padre e a ciò che è realmente il meglio per i suoi figli.
Viggo Mortensen è bravissimo nel rendere appieno il tormento interiore di Ben, con una performance che è anche estremamente fisica, intensa e sofferta. Davvero molto bravi anche i sei ragazzini, e in generale il cast di contorno fa un ottimo lavoro.

Emozionante e divertente, Captain Fantastic è la vera sorpresa di questa edizione, con un Viggo Mortensen in una delle sue migliori interpretazioni. Un film che difficilmente si guarda rimanendo indifferenti, uno dei migliori dell'anno, a dimostrazione che dalla scena indipendente americana escono fuori veri e propri gioielli.

lunedì 17 ottobre 2016

Inferno - la recensione

Si riforma il trio Ron Howard - Dan Brown - Tom Hanks, per la nuova avventura del professor Langdon, stavolta alle prese con Dante e il suo Inferno.

Il prof. Langdon si risveglia ferito in un ospedale di Firenze, non sa cosa è successo, non sa come è arrivato in Italia, non ricorda niente degli ultimi giorni. Le allucinazioni gli mostrano scene apocalittiche e disturbanti che sembrano uscite dall'Inferno di Dante. Ad aiutarlo c'è la dottoressa Sienna Brooks, che oltre ad accompagnarlo nella ricerca della verità cerca di stimolarlo a ritrovare la memoria. Langdon scoprirà così di essere parte di un disegno più grande, che ha preso il via per mano di uno scienziato miliardario fuori di senno che punta al dimezzare la popolazione mondiale con un potente virus.

Adattamento abbastanza fedele dell'omonimo romanzo di Dan Brown, Inferno è molto diverso da Il Codice da Vinci e Angeli & Demoni, nella struttura, nei toni e nelle tematiche. Meno indovinelli, poca simbologia, e nessuna tematica religiosa, stavolta le tracce che il professore deve seguire si basano tutte sull'Inferno di Dante Alighieri, e alla fine della corsa non c'è un mistero mistico/religioso ma una minaccia da sventare per salvare l'umanità. L'assenza di una tematica religiosa inevitabilmente fa perdere al film quel tono più epico che ha contraddistinto, in maniera diversa, i due film precedenti. Inferno in alcuni momenti ci prova, ma non riesce a raggiungere l'epicità degli altri film, lasciando spazio ai classici ritmi da thriller, sicuramente più adatti alla storia, ma che potrebbero far storcere il naso a chi, non avendo letto il libro, pensava di assistere a una nuova "caccia al tesoro" nella Storia.

Il film parte molto bene, in modo molto più cupo rispetto ai precedenti, incontriamo subito un Robert Langdon in grande difficoltà (e questa è una novità), e assistiamo a delle visioni quasi horror che richiamano in modo molto efficace l'atmosfera dell'Inferno dantesco. Visivamente Ron Howard gestisce molto bene le digressioni apocalittiche delle allucinazioni di Langdon, davvero inquietanti. Nella parte centrale il film invece corre un po' troppo. Ron Howard, e soprattutto lo sceneggiatore David Koepp, evitano gli "spiegoni" - quei momenti da "sediamoci e parliamo" che rallentavano molto Il Codice da Vinci - ma, per evitarli, il film finisce con l'andare un po' di fretta in alcune parti, lasciando poco spazio alla ricerca degli indizi, e dando poca profondità a personaggi che invece nel libro sono molto interessanti, come ad esempio la killer Vayentha. Nel finale il film si riprende bene, con un'ultima parte tesa e dal ritmo sostenuto, in cui c'è spazio anche per un po' di rimpianti romantici.

Ottimo il cast. Straordinario Tom Hanks, ma questa non è certo una novità; molto bene Felicity Jones, perfetta controparte di Hanks e brava nel dare le giuste sfaccettature al personaggio. Da sottolineare l'ottima prova di Irrfan Khan, ambiguo e ironico, nonostante non abbia molte scene riesce a lasciare il segno e a spiccare nel cast.

Inferno non è un capolavoro, nemmeno un film indimenticabile ma ha i giusti ingredienti - il fascino intramontabile dell'opera di Dante, la bellezza dell'arte italiana, un buon ritmo sostenuto, un complotto diabolico, bravi attori - e riesce ad essere ottimo intrattenimento.

domenica 16 ottobre 2016

[Roma FF11] Manchester by the Sea - la recensione

Dopo la morte del fratello maggiore Joe, il tuttofare Lee Chandler torna a Manchester by the Sea, cittadina del Massachussets da cui era fuggito dopo la tragedia che aveva colpito la sua famiglia e dopo la separazione dalla moglie. Lì scopre che Joe lo ha nominato tutore di Patrick, il figlio sedicenne.

Il film, scritto e diretto da Kenneth Lonergan, si muove su due binari intrecciati fra loro, quello della commedia e della tragedia. 
I momenti fra Lee e Patrick sono davvero molto divertenti e i dialoghi brillanti strappano più di una risata, soprattutto grazie alla chimica fra Casey Affleck, bravissimo nel ruolo di un uomo di poche parole e molto chiuso, e Lucas Hedge, un ragazzo come tanti per cui è facile provare simpatia ed empatia. 
Quando i toni virano al dramma più puro però, non sempre convince, alternando momenti riuscitissimi (una straordinaria Michelle Williams è protagonista di quella che è forse la scena più emozionante del film) ad altri in cui la messa in scena eccessivamente fredda e distaccata non permette il coinvolgimento emotivo dello spettatore.
In generale si ha l'impressione che spesso si giri a vuoto, in un susseguirsi di scene a volte molto belle a volte meno che però non aggiungono nulla né alla narrazione né ai personaggi, sfociando nella pesantezza e nella noia, domandandosi se il film non sarebbe potuto durare la metà. 
Non c'è costanza, nel lavoro di Lonergan, fra alti e bassi non si riesce mai davvero ad emozionarsi pienamente, nonostante i due protagonisti siano personaggi caratterizzati benissimo e meravigliosamente recitati.
Un ultimo appunto lo merita la colonna sonora: fastidiosa, irritante, soverchiante. E' raro che una musica sia così poco adatta alle immagini che accompagna e che, fin troppo spesso, le soffochi. Davvero un peccato perché alcune scene molto toccanti vengono rovinate dal fastidio provato dalla presenza ingombrante di questa colonna sonora francamente inconcepibile.

Manchester by the Sea è un film che non riesce mai a trovare una sua identità, che una scena sembra un capolavoro e quella dopo una noia mortale, retto quasi interamente da un cast da applausi. 

venerdì 14 ottobre 2016

[Roma FF11] Moonlight - la recensione

Film d'apertura di questa ricca edizione del Festival del Cinema di Roma è Moonlight, storia di formazione in tre atti di un ragazzo cresciuto in un ambiente difficile e duro. Chiron è un bambino timido, con una madre tossicodipendente e più di un dubbio sulla propria identità sessuale. Vittima di un bullismo feroce, soprannominato "Little" a causa della sua bassa statura, attraversa le tre fasi della vita (infanzia, adolescenza e una precoce età adulta) con lo sguardo basso e un'andatura saltellante, aiutato solo da uno spacciatore di buon cuore, figura salvifica, paterna e allo stesso tempo causa indiretta del degrado del quartiere, e il suo migliore amico Kevin, l'unico a non maltrattarlo, l'unico a vedere in lui qualcosa di più e una forza nascosta che nemmeno "Little" sa di possedere.

Barry Jenkins fa del lirismo e del poetico il punto focale della sua regia, con lunghi sguardi in
macchina, la luce della luna cercata quasi ossessivamente, riprese vorticanti nella strada dove ogni cosa è caotica, luogo in cui Chiron si sente fuori posto. E' una storia di realtà degradate, ma trasformata in fiaba, dove uno spacciatore può essere il più amorevole dei padri, in cui essere neri è mai lo stereotipo a cui il cinema americano ci ha abituato, in cui il ragazzo che non sapeva chi era scopre la propria identità, eppure è pur sempre la realtà con le sue discriminazioni e le sue tragedie.
Il percorso di crescita di Chiron, scandito didascalicamente dai tre atti di cui è composto il film, è quindi principalmente interiore, dalla confusione dell'infanzia fino a una nuova consapevolezza nell'età adulta.
Fondamentale in questa rappresentazione sono i tre interpreti che danno volto al protagonista, nell'ordine Alex R. Hibbert, Ashton Sanders e Trevante Rhodes, bravissimi nell'infondere le diverse sfumature del personaggio in tre diverse fasi di vita mantenendo costante l'essenza che lo rende immediatamente riconoscibile; in particolare Rhodes infonde a "Black", nome che lo Chiron adulto indossa come una maschera, una dolcezza e una vulnerabilità straordinari.
Anche il cast secondario dà grande prova di sé, e su tutti spicca un'intensa Naomie Harris, donna distrutta dalla droga, sconfitta, piena di senso di colpa per non essere riuscita a essere la madre di cui Chiron aveva bisogno.

Intenso e poetico, Moonlight racconta la scoperta di sé con delicatezza, emozionando con le sue immagini e i suoi personaggi. Davvero un ottimo inizio per il festival.

martedì 4 ottobre 2016

Café Society - la recensione

 Negli anni '30 era stata definita "Café society" una certa tipologia di persone, star di Hollywood, intellettuali e nuovi ricchi, che frequentavano i locali più in di New York, tra costosi drink e musica jazz, fra vuoto pettegolezzo e fascinazione per i gangster.
Titolo quanto mai azzeccato per la storia di Bobby (Jesse Eisemberg), giovane ebreo del Bronx che si trasferisce a Los Angeles pieno di illusioni. Lavorando per suo zio Phil (Steve Carell), pezzo grosso del mondo degli studios cinematografici, conosce e si innamora di Vonnie (Kristen Stewart), la segretaria, ragazza intraprendente e cinica, ormai disillusa rispetto al luccicante ambiente che li circonda.

Woody Allen delinea con pochissimi ed efficaci tratti una serie di personaggi continuamente al limite fra lo stereotipo, quasi macchiettistico, del cinema di quegli anni (il gangster, il produttore senza cuore, il giovane di belle speranze, la dolce segretaria, ecc.), ribaltandoli, rendendoli straordinariamente veri e profondi, spesso indimenticabili, grazie anche a un cast stellare su cui spicca uno straordinario Steve Carell, il quale dimostra, ancora una volta, che oltre a saper far ridere di gusto, è capace di emozionare con un solo sguardo.

Ciò che più di ogni altra cosa cattura di Café Society è il puro spirito alleniano che ne pervade ogni minuto, dall'inizio alla fine: per quanto ci si affanni non c'è speranza, i sogni non significano nulla, persino l'amore non può salvarci. Il pessimismo tipico del regista newyorkese non è più mitigato dalla speranza che, forse, qualcosa può cambiare, all'età di 80 anni, Allen è ormai disilluso come i suoi personaggi,rassegnati e perduti in una New york lontana da qualsiasi possibilità di redenzione, che trascina con sé in un vortice beffardo in cui la vita non è che una commedia scritta dal più sadico degli sceneggiatori.
Eppure lì, dove cinismo e pessimismo si fanno più forti, l'ironia non manca mai e il film è infarcito di battute squisitamente alleniane e personaggi esilaranti nelle loro tragedie.

Malinconico, irriverente. colorato e tremendamente romantico, Café Society è il meglio che ci si può aspettare da un autore che racconta sì sempre la stessa cosa, ma lo fa splendidamente bene.