martedì 29 marzo 2016

Batman v Superman: Dawn of Justice - la recensione

E' finalmente uscito nelle sale di tutto il mondo l'attesissimo Batman V Superman: Dawn of Justice, diretto da Zack Snyder.

La storia inizia dove era finito L'Uomo d'Acciaio ma da un diverso punto di vista, quello di Bruce Wayne tra le macerie di Metropolis durante il distruttivo scontro tra Superman e Zod. Dopo quel fatto Superman per molti è diventato un dio, per altri invece è una possibile minaccia, e tra questi c'è anche Bruce Wayne, che si mette alla ricerca di un modo per fermarlo. Allo stesso tempo Batman tiene sotto controllo una organizzazione criminale, e i suoi modi violenti attirano l'attenzione di Clark Kent/Superman, che non approva. Nel mezzo s'inserisce Lex Luthor, instabile e con manie di onnipotenza, deciso ad approfittare dell'attrito tra i due per eliminarli.

C'è talmente tanta roba in Batman v Superman - tanti personaggi, due storie principali, molte sottotrame - che sarebbe stato possibile riempire tre film. Tanti pro e contro, e infatti il film ha diviso: chi l'ha amato e chi l'ha detestato. Se ci si siede sulla poltrona sperando di ritrovare i toni Marvel e le battute ironiche alla Tony Stark, si rimane molto delusi. Se si va a vedere il film sperando di trovare il "realismo" della trilogia di Nolan, si finisce per rimanere molto insoddisfatti. E' un film di Zack Snyder, e non è nemmeno lo Snyder di Man of Steel ma quello esagerato di Watchmen e Sucker Punch. Anche il nuovo Batman è diverso, molto più cupo e violento, è quello immaginato da Frank Miller nei suoi fumetti, non quello che di Nolan (che comunque qui è co-produttore).

Batman v Superman è un film pieno di difetti e scelte discutibili, soprattutto nel montaggio che nella primissima parte taglia scene in modo quasi barbaro. Ci sono buchi, dovuti all'abbondanza, a volte si passa da una scena all'altra in modo brusco, lo scontro Batman-Superman viene caricato bene ma risolto troppo in fretta, questi però potrebbero essere una conseguenza dei tagli fatti al film e potrebbero risolversi con la versione estesa. Avrebbero potuto benissimo dividerlo in due, fare un film solo sullo scontro Batman-Superman e sull'ambiguità del personaggio di Superman per il mondo, e poi uno sulla presentazione della Justice League, Snyder (o la Warner, chi lo sa) ha deciso per un solo film, finendo per lasciare cose in sospeso, comprese sottotrame che sarebbero state molto interessanti da approfondire. Questa sovrabbondanza si riflette anche sul tono del film che sembra spaccato in due, una prima parte più lenta e riflessiva, e la seconda tutta botte ed esplosioni.

Ma il film non ha solo difetti. Batman v Superman visivamente è potente, ha uno stile molto cupo che si distacca da quello visto fino ad oggi nei cinecomic. Dura tanto ma non annoia. Ottimi gli effetti speciali. La colonna sonora è travolgente. L'introduzione dei nuovi (e futuri) personaggi - Flash, Aquaman, Cyborg - è stata fatta bene, è stata immessa nella storia senza creare strappi. Il film ha poco equilibrio, nei primi minuti soffre del continuo cambio di prospettiva tra i personaggi (il montaggio a caso, appunto) ma quando il film si assesta sul punto di vista di Bruce Wayne, tanto che il film sembra più un nuovo Batman che il sequel de L'Uomo d'Acciaio, la storia diventa più solida.
Il film inoltre è ben sorretto dal cast di contorno: Amy Adams è sempre brava e credibile, anche quando si ritrova in scene in cui non ci dovrebbe essere; Jeremy Irons è un ottimo Alfred; poi Holly Hunter, Scoot McNairy, Laurence Fishburne, Diane Lane, tutti danno il loro piccolo contributo positivo. E poi ci sono i protagonisti. Henry Cavill si mantiene sui livelli de L'Uomo d'Acciaio, ma gli osservati speciali erano gli altri tre. Il temuto Ben Affleck è un convincente Bruce Wayne, magari non è particolarmente espressivo ma dà la giusta fisicità a questo nuovo Batman. Bravo Jesse Eisenberg, anche se il suo Lex Luthor, una versione giovane e psicopatica molto diversa da quella che abbiamo visto in passato, ha diviso il pubblico. Bene Gal Gadot, sulle sue spalle gravava il peso di portare al cinema una vera icona, e l'attrice supera la prova, bene sia nei panni di Wonder Woman che in quelli di Diana Prince.

Per apprezzare (o meglio accettare) Batman v Superman: Dawn of Justice bisogna essere preparati ad accogliere un nuovo tipo di cinecomic, bisogna entrare in sala con la mente libera da immagini passate di altri film, e bisogna essere consapevoli che Zack Snyder non è un regista dal tocco delicato. E' un film imperfetto che non nasconde le sue imperfezioni, ha dei momenti che lasciano contrariati e altri in cui ha delle intuizioni geniali, momenti di lentezza e altri di fomento. E' un film di passaggio, che prepara il campo al futuro, e che aspettiamo di vedere nella sua versione estesa. Quindi, è un brutto film? No, è un po' un casino, ma non è un brutto film.

mercoledì 23 marzo 2016

David di Donatello 2016 - annunciate le nomination

Durante una conferenza stampa tenutasi ieri, Gian Luigi Rondi ha annunciato le nomination dei 60esimi David di Donatello.

A guidare le nomination sono i film Non Essere Cattivo di Claudio Caligari, che si è guadagnato 12 nomination, e Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, con addirittura 16 nomination, anche se non quella come miglior film.
Due film che hanno qualcosa in comune, sicuramente sono fuori dagli schemi "classici" del cinema italiano, e soprattutto vedono entrambi Luca Marinelli nel cast, che infatti è stato nominato sia per il film di Caligari (migliore attore protagonista), che in Jeeg (come non protagonista).

Nomination anche per i film passati nei festival: il vincitore di Berlino Fuocoammare, e due partecipanti a Cannes 2015, Youth - La Giovinezza e Il Racconto dei Racconti.

Le categorie degli attori abbondano di nomination, nella categoria migliore attrice protagonista si va oltre la cinquina con ben sette nominate.

La cerimonia, non più in mano alla RAI ma prodotta per la prima volta da Sky, andrà in onda il prossimo 18 aprile sul satellite e in chiaro su Tv8.

Ecco tutte le nomination.

MIGLIOR FILM 
Fuocoammare, di Gianfranco Rosi
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, di Matteo Garrone
Non essere cattivo, di Claudio Caligari
Perfetti sconosciuti, di Paolo Genovese
Youth - La giovinezza, di Paolo Sorrentino

MIGLIORE REGISTA 
Gianfranco Rosi per Fuocoammare
Matteo Garrone per Il racconto dei racconti - Tale of Tales
Claudio Caligari per Non essere cattivo
Paolo Genovese per Perfetti sconosciuti
Paolo Sorrentino per Youth - La giovinezza

MIGLIORE REGISTA ESORDIENTE 
Carlo Lavagna per Arianna
Adriano Valerio per Banat - Il viaggio
Piero Messina per L'attesa
Gabriele Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot
Fabio Bonifacci e Francesco Micciché per Loro chi?
Alberto Caviglia per Pecore in erba

MIGLIORE SCENEGGIATURA 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales
Lo chiamavano Jeeg Robot
Non essere cattivo
Perfetti sconosciuti
Youth- La giovinezza

MIGLIORE PRODUTTORE 
Fuocoammare, 21uno Film, Stemal Entertainment, Istituto Luce-Cinecittà, Rai Cinema, Les Films d'Ici con Arte France Cinéma
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Archimede, Rai Cinema
Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti per Goon Films, Rai Cinema
Non essere cattivo, Paolo Bogna, Simone Isola e Valerio Mastandrea per Kimera Film, con Rai Cinema e Taodue Film, produttore associato Pietro Valsecchi, in collaborazione con Leone Film Group
Youth - La giovinezza, Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori per Indigo Film

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA 
Àstrid Bergès-Frisbey per Alaska
Paola Cortellesi per Gli ultimi saranno ultimi
Sabrina Ferilli per Io e lei
Juliette Binoche per L'attesa
Ilenia Pastorelli per Lo chiamavano Jeeg Robot
Valeria Golino per Per amor vostro
Anna Foglietta per Perfetti sconosciuti

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA 
Claudio Santamaria per Lo chiamavano Jeeg Robot
Alessandro Borghi per Non essere cattivo
Luca Marinelli per Non essere cattivo
Marco Giallini per Perfetti sconosciuti
Valerio Mastandrea per Perfetti sconosciuti

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA 
Piera Degli Esposti per Assolo
Antonia Truppo per Lo chiamavano Jeeg Robot
Elisabetta De Vito per Non essere cattivo
Sonia Bergamasco per Quo vado?
Claudia Cardinale per Ultima fermata

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA 
Valerio Binasco per Alaska
Fabrizio Bentivoglio per Gli ultimi saranno ultimi
Giuseppe Battiston per La felicità è un sistema complesso
Luca Marinelli per Lo chiamavano Jeeg Robot
Alessandro Borghi per Suburra

MIGLIORE AUTORE DELLA FOTOGRAFIA 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Peter SUSCHITZKY
Lo chiamavano Jeeg Robot, Michele D'ATTANASIO
Non essere cattivo, Maurizio CALVESI
Suburra, Paolo CARNERA
Youth - La giovinezza, Luca BIGAZZI

MIGLIORE MUSICISTA 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Alexandre DESPLAT
La corrispondenza, Ennio MORRICONE
Lo chiamavano Jeeg Robot, Michele BRAGA, Gabriele MAINETTI
Non essere cattivo, Paolo VIVALDI con la collaborazione di Alessandro SARTINI
Youth - La giovinezza, David LANG

MIGLIORE CANZONE ORIGINALE
La felicità è un sistema complesso, "TORTA DI NOI" musica, testi e interpretazione di Niccolò CONTESSA
Non essere cattivo, "A CUOR LEGGERO" musica, testi e interpretazione di Riccardo SINIGALLIA
Perfetti sconosciuti, "PERFETTI SCONOSCIUTI" musica di BUNGARO e Cesare CHIODO testi e interpretazione di Fiorella MANNOIA
Quo vado?, "LA PRIMA REPUBBLICA" musica, testi e interpretazione di Luca MEDICI (Checco ZALONE)
Youth - La giovinezza, "SIMPLE SONG #3" musica e testi di David LANG interpretata da Sumi JO

MIGLIORE SCENOGRAFO 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Dimitri CAPUANI, Alessia ANFUSO
La corrispondenza, Maurizio SABATINI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Massimiliano STURIALE
Non essere cattivo,Giada CALABRIA
Suburra, Paki MEDURI
Youth - La giovinezza, Ludovica FERRARIO
Paki Meduri sarebbe entrato in cinquina anche per il film Alaska, ma da Regolamento viene candidato solo per il film più votato.

MIGLIORE COSTUMISTA 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Massimo CANTINI PARRINI
La corrispondenza, Gemma MASCAGNI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Mary MONTALTO
Non essere cattivo, Chiara FERRANTINI
Youth - La giovinezza, Carlo POGGIOLI

MIGLIORE TRUCCATORE 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Gino TAMAGNINI, Valter CASOTTO, Luigi D'ANDREA, Leonardo CRUCIANO
La corrispondenza, Enrico IACOPONI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Giulio PEZZA
Non essere cattivo, Lidia MINÌ
Youth - La giovinezza, Maurizio SILVI

MIGLIORE ACCONCIATORE 
Il racconto dei racconti - Tale of Tales, Francesco PEGORETTI
La corrispondenza, Elena GREGORINI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Angelo VANNELLA
Non essere cattivo, Sharim SABATINI
Youth - La giovinezza, Aldo SIGNORETTI

MIGLIORE MONTATORE 
Fuocoammare, Jacopo QUADRI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Andrea MAGUOLO con la collaborazione di Federico CONFORTI
Perfetti sconosciuti, Consuelo CATUCCI
Suburra, Patrizio MARONE
Youth - La giovinezza, Cristiano TRAVAGLIOLI

MIGLIOR FONICO DI PRESA DIRETTA 
Il racconto dei racconti – Tale of Tales
Lo chiamavano Jeeg Robot Non essere cattivo
Perfetti sconosciuti
Youth - La giovinezza

MIGLIORI EFFETTI DIGITALI 
Game Therapy, EDI – Effetti Digitali Italiani
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Makinarium
Lo chiamavano Jeeg Robot, Chromatica
Suburra, Visualogie
Youth - La giovinezza, Peerless

MIGLIOR DOCUMENTARIO DI LUNGOMETRAGGIO 
HARRY'S BAR, di Carlotta CERQUETTI
I BAMBINI SANNO, di Walter VELTRONI
LOUISIANA (The Other Side), di Roberto MINERVINI
REVELSTOKE. UN BACIO NEL VENTO, di Nicola MORUZZI
S IS FOR STANLEY, di Alex INFASCELLI

MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA
45 ANNI
DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES
IL FIGLIO DI SAUL
PERFECT DAY
THE DANISH GIRL

MIGLIOR FILM STRANIERO 
CAROL
IL CASO SPOTLIGHT
IL PONTE DELLE SPIE
INSIDE OUT
REMEMBER

L'apposita Giuria, composta da Andrea Piersanti, Presidente, Francesca Calvelli, Enzo Decaro, Leonardo Diberti, Paolo Fondato, Enrico Magrelli, Lamberto Mancini, Mario Mazzetti, Paolo Mereghetti, comunica le cinquine del miglior cortometraggio.

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO 
A METÀ LUCE, di Anna Gigante
BELLISSIMA, di Alessandro Capitani
DOVE L'ACQUA CON ALTRA ACQUA SI CONFONDE, di Gianluca Mangiasciutti e Massimo Loi
LA BALLATA DEI SENZATETTO, di Monica Manganelli
PER ANNA, di Andrea Zuliani

Il miglior cortometraggio Premio David di Donatello 2016 è: BELLISSIMA di Alessandro Capitani. Oltre 6000 giovani delle scuole superiori di tutta Italia votano per il

DAVID GIOVANI 
ALASKA, di Claudio Cupellini
GLI ULTIMI SARANNO ULTIMI, di Massimiliano Bruno
LA CORRISPONDENZA, di Giuseppe Tornatore
NON ESSERE CATTIVO, di Claudio Caligari
QUO VADO?, di Gennaro Nunziante

domenica 13 marzo 2016

Ave, Cesare! - la recensione

La giornata di Eddie Mannix non è tra le più rilassanti. Lui è un "fixer", cioè un uomo pagato da una grossa major cinematografica per risolvere tutti quei problemi che le capricciose star di Hollywood creano dentro e fuori dal set. Quando il protagonista del film Ave, Cesare!, colossal a carattere biblico che si sta girando proprio in quei giorni, viene rapito, Eddie dovrà riuscire a barcamenarsi tra attrici troppo libertine, attori dalle inesistenti capacità recitative e giornalisti impiccioni, il tutto tentando in ogni modo di riportare sano e salvo il divo sul set in tempo per le riprese della scena madre.


I fratelli Coen scrivono una commedia, o meglio, una farsa, che mette in ridicolo Hollywood ma che alla fine vuole parlare di altro, in senso più ampio di scelte e di cosa sia giusto fare. Lo fanno mettendo insieme una sceneggiatura brillante e un grandissimo cast, su cui primeggiano un fantastico George Clooney e Josh Brolin, mai così in stato di grazia, ma purtroppo non vanno al segno al cento percento.
Se nella trama principale (il rapimento del personaggio di Clooney da parte dei comunisti e relativa contrattazione per il riscatto) si procede in modo ben strutturato e senza passi falsi, divertendo non poco, e proponendo anche intelligenti spunti di riflessione, il resto è troppo abbozzato, con personaggi che non riescono mai ad avere un vero mordente e una vera caratterizzazione, più comparse dai nomi altisonanti che altro. Un peccato perché alcune di queste storyline avevano delle potenzialità notevoli e risultano anche molto divertenti quando portate avanti, ma a un certo punto sembrano perdersi, come se i Coen se ne fossero dimenticati o abbiano deciso di accantonarle per concentrarsi su altro.
Nulla si può dire invece dell'aspetto più puramente tecnico: regia, fotografia e soprattutto montaggio sono impeccabili e contribuiscono a ricreare l'atmosfera da farsa che caratterizza tutto il film.

Ave, Cesare! è un film tecnicamente bellissimo e molto divertente, ma che non riesce mai ad andare del tutto a segno, per colpa soprattutto di alcuni difetti nella sceneggiatura e nell'impostazione complessiva. Peccato, perché avrebbe potuto fare molto di più con un cast di questo livello

Weekend - la recensione

Russell (Tom Cullen), dopo una cena a casa di amici, incontra Glen (Chris New) in un locale gay. I due tornano a casa e passano la notte insieme, notte che ben presto si trasforma in un intero weekend in cui i due ragazzi condivideranno speranze, paure e intimità.


Film del 2011, Weekend sbarca in Italia solo quest’anno, dopo che l’ultimo film del regista Andrew Haigh 45 Anni è valso la prima nomination all’Oscar per Charlotte Rampling, ma in questi anni non è passato inosservato, vincendo numerosi premi in vari festival di cinema indipendente, come ad esempio l'Indipendent British Film Award (andato sia alla produzione che all'esordiente Tom Cullen).
In un primo momento sembra quasi di trovarsi di fronte una pellicola alla Linklater, ed in effetti le premesse si rifanno molto ad una certa poetica propria del regista statunitense, in particolar modo alla trilogia composta da Before Dawn – Sunset – Midnight, ma riesce a essere comunque estremamente peculiare  e con una propria identità.

In soli due giorni, Russell e Glen vivono una storia d’amore completa, dal primo iniziale coinvolgimento, alla passione, allo sperimentare la condivisione di diversi punti di vista sulla vita e sul futuro. Grazie a una sceneggiatura molto delicata e intima, si arriva a conoscere i due protagonisti lentamente, a scoprirli man mano che ognuno di loro aggiunge un tassello all’altro, senza sapere mai tutto ma sapendone comunque abbastanza.
Anche la regia è molto particolare, alternando primi piani a inquadrature da lontano, lunghi piano sequenza un po’ “sporchi”, come se lo spettatore fosse un occhio indiscreto che spia in uno squarcio delle vite di due ragazzi qualunque.

Il finale dolceamaro è il coronamento perfetto di una storia non solo estremamente realistica, ma reale in tutto e per tutto, lasciandoci con gli occhi lucidi e lo spirito un po’ più sereno. 

mercoledì 9 marzo 2016

Andy diventa Lilly, i fratelli Wachowski ora sono le sorelle Wachowski.

Quattro anni fa Larry Wachowski, uno dei due fratelli Wachowski autori e registi di un capolavoro come Matrix e di altri bei film come Cloud Atlas, è diventato legalmente Lana Wachowski, oggi veniamo a sapere che il fratello Andy ha seguito le orme della sorella ed è diventato Lilly Wachowski. Perciò possiamo dare il benvenuto alle sorelle Wachowski.

La notizia è stata data dalla stessa Lilly con una bella lettera pubblicata sul Windy City Times di Chicago, città natale delle due registe. Insieme alla lettera è stata postata anche una foto in cui vediamo Lilly Wachowski felice e sorridente.

Durante la loro carriera cinematografica, Lilly e Lana Wachowski hanno rilasciato poche interviste e sono sempre state molto riservate riguardo la loro vita privata, Lilly ha deciso di emettere un comunicato per annunciare al mondo che ha cambiato sesso dopo che un giornalista del Daily Mail (autore in passato di articoli poco piacevoli verso i transgender, tanto da spingere un'insegnante al suicidio dopo un articolo intitolato "Non solo è nel corpo sbagliato, ma fa anche il lavoro sbagliato") ha cercato di "estorcerle" una intervista.

Ecco la bella lettera scritta da Lilly Wachowski, è un po' lunga ma vale la pena leggerla tutta.

" “SCIOCCANTE CAMBIAMENTO DI SESSO: I FRATELLI WACHOWSKI ORA SORELLE!!!” Questo è il titolo che mi sono aspettata di vedere per tutto questo anno. Fino ad ora, con terrore e/o rassegnata esasperazione. La “notizia” è quasi venuta fuori un paio di volte. Ogni volta preceduta da un'infausta mail del mio agente in cui si diceva che i giornalisti avevano chiesto dichiarazioni in merito alla storia della “transizione gender di Andy Wachowski” che stavano per pubblicare. In risposta a questa minacciata rivelazione contro la mia volontà, avevo preparato una dichiarazione composto da una parte di piscio, una parte di aceto e 12 parti di benzina. Conteneva molte idee di rilevanza politica sui pericoli di rivelare pubblicamente i transgender, con gli orrori statistici dei suicidi e dei tassi di omicidio tra di loro. Per non parlare della conclusione, leggermente sarcastica, che “rivelava” che mio padre si era iniettato nello scroto paterno sangue di mantide religiosa prima di concepire ognuno dei suoi figli e dare vita a una razza di superdonne, ferocemente determinate alla causa della dominazione femminile. Okay, ultrasarcastica. Ma non è successo. Gli editori di quelle pubblicazioni non hanno stampato una storia che era solo volgare nella sostanza e avrebbe potuto avere un effetto fatale. Ed essendo l'ottimista che sono, ero felice di attribuire questo al progresso.
Poi, l'altra sera, mi stavo preparando per andare fuori a cena quando hanno suonato alla porta. Sul mio portico c'era un uomo che non ho riconosciuto.“Questo potrebbe essere un po' imbarazzante”, mi ha detto con un accento inglese. Ricordo di aver sospirato. A volte è un lavoro davvero difficile essere ottimista.

Ha continuato dicendo che era un giornalista del Daily Mail, la più importante fonte giornalistica in Inghilterra e non assolutamente un tabloid. E che dovevo davvero incontrarlo il giorno dopo o la settimana dopo in modo da farmi fotografare e raccontare la mia storia che era di grande ispirazione! Certo non volevo essere seguita da qualcuno del National Enquirer, no? Comunque: il Daily Mail "non è assolutamente un tabloid".

Mia sorella Lana ed io abbiamo ampiamente evitato la stampa. Trovo il fatto di parlare della mia arte noioso e frustrante e parlare di me stessa un'esperienza totalmente mortificante. Sapevo che a un certo punto avrei dovuto uscire pubblicamente allo scoperto. Sapete, quando si vive apertamente come una persona transgender è... un po' difficile nasconderlo. Volevo soltanto, avevo solo bisogno di un po' di tempo per essere tranquilla e sentirmi a mio agio. Ma a quanto pare non ho potuto deciderlo io. Dopo che lui mi ha dato il suo biglietto da visita e io ho chiuso la porta, ha cominciato a venirmi in mente quando avevo sentito parlare del Daily Mail. Era l'agenzia di “notizie” che aveva svolto un enorme ruolo nella denuncia pubblica di Lucy Meadows, un'insegnante elementare e donna trans in Inghilterra. Un editoriale di questo “non tabloid” l'aveva demonizzata come influenza dannosa sulla delicata innocenza dei bambini e aveva concluso: “Lui non è solo intrappolato nel corpo sbagliato, ma fa anche il lavoro sbagliato”. Il motivo per cui sapevo di lei non era per il fatto che era transgender ma perché tre mesi dopo l'uscita dell'articolo sul Daily Maily, Lucy si era suicidata.
E ora eccoli qua, alla mia porta, quasi come a dire: “Eccone un altro! Trasciniamoli all'aperto così tutti possiamo guardarli!”. Essere transgender non è facile. Viviamo in un mondo di genere binario in cui domina la maggioranza. Questo vuol dire che quando sei transgender devi affrontare la dura realtà di vivere il resto della tua vita in un mondo che ti è apertamente ostile. Io sono una delle fortunate. Avere il sostegno della mia famiglia e i mezzi per permettermi medici e terapeuti mi ha dato la possibilità di sopravvivere a questo processo. Le persone transgender senza sostegno, mezzi e privilegi non hanno questo lusso. E molti non sopravvivono. Nel 2015, il tasso di omicidi di transgender ha raggiunto un picco massimo in questo paese. Un numero orribilmente sproporzionato di vittime erano donne trans di colore. Questi sono solo gli omicidi conosciuti, quindi, dal momento che i trans non rientrano nelle ordinate statistiche binarie dei generi per tasso di omicidi, significa che i numeri reali sono ancora più alti.

E anche se abbiamo fatto molta strada dal Silenzio degli innocenti, continuiamo a essere demonizzati e diffamati nei media, dove pubblicità d'assalto ci ritraggono come potenziali predatori per impedirci perfino di usare il maledetto bagno pubblico. Le cosiddette multe per i bagni pubblici che spuntano in tutto il paese non tengono i bambini al sicuro, costringono i trans a usare bagni in cui possono essere picchiati o assassinati. Non siamo predatori, siamo prede.

Quindi sì, sono transgender. E sì, ho cambiato sesso. Sono out per i miei amici e la mia famiglia e la maggior parte delle persone per cui lavoro. Nessuno ha problemi con questo. Sì, grazie alla mia favolosa sorella lo hanno già fatto prima, ma è anche perché sono persone fantastiche. Senza l'amore e il sostegno di mia moglie, dei miei amici e della mia famiglia non sarei dove sono oggi.
Ma queste parole, “transgender” e “cambiamento di sesso” sono difficili per me perché hanno perso entrambe la loro complessità nella loro assimilazione nel mainstream. C'è una mancanza di sfumature nel tempo e nello spazio. Essere transgender è qualcosa di largamente compreso all'interno dei termini dogmatici di maschio e femmina. E “cambiare” comunica un senso di immediatezza, un prima e un dopo da un termine all'altro. Ma la realtà, la mia realtà, e che io sono cambiata e continuerò a cambiare per tutta la vita, attraverso l'infinito che esiste tra maschio e femmina, così come esiste nell'infinito del codice binario tra zero e uno. Abbiamo bisogno di elevare il dialogo al di là della semplicità binaria. Il binario è un idolo fasullo.

Ora, la teoria gender e queer fanno male al mio piccolo cervello. Le combinazioni di parole, come il free jazz, suonano in modo discordante e dissonante alle mie orecchie. Vorrei comprendere la teoria queer e gender ma è una lotta, così come lo è quella per comprendere la mia stessa identità. Ho una citazione di José Munoz nel mio ufficio, che mi ha dato un mio ottimo amico. La osservo come in contemplazione, cercando a volte di decifrarne il messaggio, ma l'ultima frase colpisce: “Essere queer significa essenzialmente il rifiuto del qui ed ora e l'insistenza sulla possibilità di un altro mondo”.

Perciò continuerò ad essere ottimista e aggiungerò la mia spalla alla fatica di Sisifo del progresso e nel mio stesso essere sarò un esempio della possibilità di un altro mondo. 

Lilly Wachowski "

martedì 8 marzo 2016

Zootropolis - la recensione

I Walt Disney Animation Studios hanno da sempre veicolato i loro messaggi con grande maestria e indubbio talento. Questo ovviamente accade anche con Zootropolis, nuovo film d'animazione digitale che, in quanto a tematiche, ripercorre la moderna via degli ultimi lavori degli studios come Big Hero 6, Ralph Spaccatutto, Frozen – Il Regno di Ghiaccio e Rapunzel.


Diretto da Byron Howard (Rapunzel, Bolt) e da Rich Moore (Ralph Spaccatutto), Zootropolis ci immerge fin da subito in una nuova realtà: gli animali hanno soppresso i loro istinti ed hanno iniziato a collaborare pacificamente tra loro. In questa utopica realtà tuttavia una grintosa coniglietta dovrà fare i conti per realizzare i propri sogni e non darla vinta alle discriminazioni, si, perché anche nella città di Zootropolis esiste la discriminazione, di qualsiasi “natura” sia.
Il film rispolvera il “vecchio stile” Disney, presentandoci i tanto cari animali antropomorfi che in più occasioni sono balzati sotto ai nostri occhi (Robin Hood, Basil l'Investigatopo, Koda Fratello Orso ecc..), farcendo il tutto con una moderna resa dell'immagine che solo Pixar è riuscita a mostrarci.

Scorrevole, emozionante, studiato, affascinante, divertente e a tratti davvero sorprendente, Zootropolis è un prodotto che di sicuro accontenta grandi e piccini e che senza dubbio lascia dietro di sé una voglia irrefrenabile di tornare tra quelle vie metropolitane affollate e indimenticabili il prima possibile.

Mat

lunedì 7 marzo 2016

Frame Awards 2016 - i vincitori. Trionfa Inside Out!

Si sono concluse ieri le votazione per i Frame Awards 2016. A trionfare, con un discreto margine sugli altri, è stato il bellissimo Inside Out!

Il capolavoro della Pixar, premiato anche con l'Oscar 2016, ha vinto in tre categorie, miglior film, film d'animazione, e sceneggiatura originale. Ennesima conferma di come Inside Out sia stato uno dei film più amati dello scorso anno.

Ottimo risultato anche per Crimson Peak di Guillermo del Toro, vincitore in tre categorie (scenografia, costumi, locandina) e mezzo, visto che Jessica Chastain è stata scelta come migliore attrice non protagonista per le sue performance in The Martian e in Crimson Peak. Nella altre tre categorie degli attori sono stati confermati i vincitori degli Oscar dello scorso anno: Eddie Redmayne (La Teoria del Tutto) migliore attore protagonista; Julianne Moore (Still Alice / Freeheld) migliore attrice protagonista: J.K. Simmons (Whiplash) migliore attore non protagonista. Come miglior cast è stato scelto quello di Kingsman - Secret Service.

La categoria della migliore regia ha visto trionfare George Miller (Mad Max: Fury Road). Miglior film italiano Youth - La Giovinezza, di Paolo Sorrentino.


Ecco tutti i vincitori votati da voi.

Miglior film
Inside Out

Migliore regia
George Miller per Mad Max: Fury Road

Migliore attore protagonista
Eddie Redmayne per La Teoria del Tutto

Migliore attrice protagonista
Julianne Moore per Still Alice / Freeheld

Migliore attore non protagonista
J.K. Simmons per Whiplash

Migliore attrice non protagonista
Jessica Chastain per Crimson Peak / The Martian

Miglior cast
Kingsman - Secret Service

Miglior film d'animazione
Inside Out

Migliore sceneggiatura originale
Inside Out

Migliore sceneggiatura non originale
The Imitation Game

Migliore scenografia
Crimson Peak

Migliore fotografia
The Martian

Miglior trucco
Black Mass

Migliori costumi
Crimson Peak

Migliori effetti speciali
Jurassic World

Miglior 3D
The Walk

Migliore colonna sonora
Whiplash

Miglior film italiano
Youth - La Giovinezza

Migliore locandina
Crimson Peak

Miglior trailer
Star Wars: Il Risveglio della Forza

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Lo staff di Frame vi ringrazia per aver votato. Al prossimo anno!

domenica 6 marzo 2016

Lo Chiamavano Jeeg Robot - la recensione

Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un piccolo criminale di Tor Bella Monaca, a Roma. Per sfuggire alla polizia, si immerge nel Tevere, incappando in alcuni barili pieni di sostanze radioattive che, una volta tornato a casa, gli conferiscono una forza sovrumana e una resistenza incredibile alle ferite. Inizialmente Enzo usa i suoi nuovi poteri per far soldi e continuare la sua vita da fuorilegge, ma grazie all'aiuto di Alessia (Ilenia Pastorelli), una ragazza con problemi mentali, e alla rivalità con il criminale in ascesa Fabio Cannizzaro, detto "Lo Zingaro" (Luca Marinelli), Enzo dovrà imparare il vero significato dell'essere un super eroe.

Il film diretto da Gabriele Mainetti è un esperimento inedito per il cinema italiano, in quanto si addentra in un territorio ancora inesplorato come quello del superhero movie, che in questi anni è sempre più alla ribalta, ma allo stesso tempo mantiene un'impronta fortemente caratteristica, in un certo senso locale, senza mai diventare per questo provinciale.

I personaggi si muovono in una Roma sporca, squallida, piena di criminalità e marciume, quasi noir ed estremamente affascinante, la città è personaggio a sua volta e dà un'impronta caratteristica al contesto sociale.
Ecco quindi che se a New York i super eroi devono sventare minacce aliene, qui Enzo, ben lungi da essere un super eroe, quanto più un anti-eroe, si ritrova a combattere contro camorra, traffici di droga e degrado, i super cattivi non sono geniali scienziati alla conquista del mondo, ma piccoli criminali locali interessati ad espandersi, a far più soldi possibile.
La scrittura è forte e incastra in modo nuovo ed interessante la classica storia di origini, con un affresco crudo e reale della periferia disagiata romana, con poche scene di azione molto ben girate, effetti speciali ridotti al minimo, e tanti momenti di introspezione e dialogo.
Il cast fa un lavoro eccezionale: Claudio Santamaria è ormai da anni uno dei migliori attori italiani, il suo Enzo è chiuso, cupo, ma anche un personaggio con cui si riesce a entrare in sintonia, a capire davvero; Ilena Pastorelli dona al personaggio di Alessia una dolcezza e una ingenuità adorabili, ma allo stesso tempo si ha di fronte una donna profonda ed estremamente acuta, a cui è impossibile rimanere indifferenti.

Ma il punto forte è sicuramente Luca Marinelli, il suo è un villain profondamente diverso da quello che siamo abituati a vedere in questo genere di film, lontano anche dai classici cattivi alla "romanzo criminale", lo Zingaro è trash, affascinante, folle, dalla fisionomia subito riconoscibile e l'iconografia potente, una sorta di Joker estremamente realistico, con il forte accento romano e il desiderio terreno di soldi e rispetto.
Un plauso infine merita anche la colonna sonora, davvero splendida, mai ridondante, ma sempre perfettamente amalgamata alle scene. In particolare merita la versione della sigla di "Jeeg Robot d'acciaio" cantata dallo stesso Santamaria che accompagna i titoli di coda e che rimane incastrata in testa ben oltre la fine della pellicola.

Cupo e affascinante, Lo Chiamavano Jeeg Robot dimostra non solo che in italia è possibile fare film di genere, ma soprattutto che lo si può fare più che bene, mischiando i generi in modo originale. Senza dubbio uno dei migliori film italiani da molti anni a questa parte.

mercoledì 2 marzo 2016

Suffragette - la recensione

Londra, 1912. In un'Inghilterra ancora di stampo vittoriano le donne cercano visibilità, diritti e dignità in un mondo fatto da uomini e per gli uomini, battendosi per il suffragio universale, superando anche i limiti della legalità, tra attentati, bombe, estenuanti scioperi della fame e dolorose rinunce.

Suffragette è un film di stampo molto classico, estremamente britannico nella sua messa in scena curata e lineare, un vero e proprio affresco storico di una società fortemente maschilista, in cui una donna che esprimeva liberamente le proprie opinioni era considerata pazza, se non direttamente pericolosa. Abi Morgan (sceneggiatrice già di The Iron Lady, Shame e della splendida miniserie BBC The Hour) descrive le sue protagoniste con spiccato tocco femminile e dipinge un mondo di donne che si sostengono a vicenda, si aiutano, sono mogli e madri, ma allo stesso tempo attiviste politiche, in cui la loro forza non prescinde mai da una profonda femminilità. Per contrasto gli uomini del film sono abietti, deboli, si nascondono dietro il potere per poter esercitare un controllo che però non riescono mai davvero a portare a termine. I pochi esempi di figure maschili positive non riescono comunque mai a emergere davvero, rimanendo nell'ombra delle protagoniste.

Importantissima era perciò la scelta del cast. Carey Mulligan, protagonista principale della pellicola, è sempre delicata nella sua recitazione, incarna perfettamente l'apparente fragilità e la paura del suo personaggio e la trasformazione che avviene in lei, in particolare le scene che condivide con Ben Whishaw, suo marito nel film, sono recitate straordinariamente. Perfetta Helena Bonham Carter, anche perché il suo personaggio è probabilmente il più affascinante, un vero e proprio soldato che addestra e protegge le sue truppe, pronto a sferrare il prossimo attacco con una determinazione quasi sacra. Si vede poco ma lascia il segno nelle scene in cui compare, Maryl Streep, nel ruolo della portavoce e capo del movimento delle Suffragette, Emmeline Pankhurst.
Dove il film pecca purtroppo è la regia. Sarah Gavron non riesce a imprimere la sua firma, limitandosi a riprendere le scene in modo abbastanza statico, lasciando unicamente alla scrittura e alle sue interpreti il compito di raccontare la storia, un vero peccato perché si sarebbe potuto fare molto di più e il film lo avrebbe meritato.

Passato immeritatamente inosservato in questa stagione di premi, Suffragette è un film che fa della sceneggiatura, esaltata da un cast in stato di grazia, il suo punto di forza, raccontando con un punto di vista chiaro e forte una delle più importanti lotte per i diritti umani della Storia.