mercoledì 13 gennaio 2016

The Revenant - la recensione

Nord Dakota, 1823: Hugh Glass è la guida di una battuta di caccia per ottenere pelli ed è sopravvissuto, insieme al figlio adolescente meticcio, a un attacco degli Indiani Ree in cui sono morte più di 30 persone. Sulla via del ritorno, Glass è attaccato e gravemente ferito da un orso grizzly e, troppo malridotto per continuare, viene affidato a suo figlio e altri due compagni.


Il premio oscar Alejandro Gonzales Inarritu, dopo la satira di Birdman, si affida questa volta a una storia vera, epica, intrisa di sentimento e di spettacolarità. Foreste dagli altissimi tronchi, distese apparentemente infinite di neve, fiumi ghiacciati, indiani e animali selvaggi fanno da sfondo al più classico dei drammi, dove la vendetta e l'amore la fanno da padroni. La regia di Inarritu è magniloquente, fatta di campi lunghi, movimenti a volte fluidi, a volte improvvisi, restringimenti fino a primissimi piani, rimane attaccata addosso ai personaggi nei momenti più duri e spazia nei meravigliosi paesaggi nei momenti di calma. La fotografia aveva lavoro facile e riesce a valorizzare magnificamente i luoghi e a creare contrasti cromatici fra i toni freddi della neve e della foresta, con quelli caldi del sangue.
La scena dell'attacco dell'orso è sorprendente per realismo e crudezza, grazie anche a un Leonardo DiCaprio come sempre impeccabile e intenso, in un film in cui parla pochissimo e recita per lo più con lo sguardo.
Accanto a lui, spicca un magistrale Tom Hardy, controparte meschina di Glass, dallo spiccato accento texano e dai modi subdoli, personaggio che è vera e propria nemesi e allo stesso tempo importantissimo punto di arrivo nella lotta alla sopravvivenza intrapresa dal protagonista.

Non è sicuramente un film facile The Revenant, i silenzi sono molti e sembrano protrarsi all'infinito, la musica è quasi assente, la luce totalmente naturale rafforza la sensazione di gelo che accompagna lo spettatore e che si insinua fin nelle ossa, finché non si è portati a rabbrividire insieme al personaggio di DiCaprio. Il finale arriva quasi con sollievo, e non perché non si sia assistito a un gran film, ma proprio perché quella solidità, quel realismo è così crudo che alla conclusione del viaggio si prova sulla propria pelle la stessa sensazione di spossatezza e di ineluttabilità provata dal protagonista.

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