giovedì 21 gennaio 2016

Steve Jobs - la recensione

Dopo il disastroso Jobs del 2013, Danny Boyle e Aaron Sorkin riportano al cinema lo straordinario personaggio di Steve Jobs, e stavolta fanno le cose per bene.

Chi si aspetta il classico film biografico rischia di rimanere spiazzato o deluso. Steve Jobs non è un biopic, non racconta la storia del fondatore della Apple, non racconta delle invenzioni nel garage, del periodo hippie, non mostra l'ascesa di Jobs né i momenti più mediaticamente famosi, come il celebre discorso agli studenti.

Il film di Boyle è diviso in tre atti: 1984, Jobs sta per presentare al mondo il primo Macintosh; 1988, licenziato dalla Apple, Jobs si prepara a lanciare il NeXT; 1998, Jobs è pronto a mostrare il primo iMac. Ambientato sempre nel backstage prima delle presentazioni, Jobs (Fassbender), affiancato dalla fidata collaboratrice Joanna Hoffman (Winslet), si trova ad affrontare e confrontarsi sempre con le stesse persone, la figlia e sua madre, l'amico e co-fondatore della Apple Steve Wozniak, il CEO della Apple John Sculley, l'ingenere informatico Andy Hertzfeld. Attraverso il confronto con questi personaggi si definisce la figura di Steve Jobs, una figura che cambia nel corso del tempo e ogni volta scopriamo dei lati della sua personalità, non sempre positivi, anzi, i primi a venir fuori sono i lati negativi, le ossessioni, la durezza, il cinismo, poi, col passare del tempo il personaggio evolve e vengono fuori le fragilità, i traumi mai superati.
Se da un lato il confronto con la figlia smuove e cerca di scoprire la parte più emotiva e sentimentale del personaggio, a colpire e a raccontare di più sono i confronti con l'amico Woz, durante i quali viene fuori la parte più fredda e imperfetta di Jobs.

Il film si poggia su una struttura geniale e dei dialoghi coinvolgenti e mai banali scritti (non a caso) dal premio Oscar Aaron Sorkin, che con questo film si è portato a casa un meritato Golden Globe ma che inspiegabilmente è stato escluso dalle nomination all'Oscar, quando molto probabilmente avrebbe meritato di vincerlo. A convincere meno è la regia di Danny Boyle. Il regista avrebbe potuto limitarsi a seguire la sceneggiatura e sottolinearla nel migliore dei modi e invece, forse preso da una leggera mania di protagonismo, spesso si mette alla ricerca di inquadrature particolari o ad effetto di cui onestamente non si sentiva il bisogno. Il film però ha un ottimo ritmo, essenziale vista la divisione in tre atti e l'ambientazione limitata nei dietro le quinte.

Oltre alla sceneggiatura di ferro, il film può vantare anche un cast di altissimo livello che offre un'interpretazione corale davvero eccezionale. Molto bravo Michael Fassbender, senza mai eccedere e senza mai cadere nell'imitazione riesce ad essere un ottimo Steve Jobs, anche se forse ha la pecca di non riuscire a spiccare e lasciare il segno come avrebbe dovuto. Chi invece spicca, e anche tanto, è Kate Winslet, assolutamente fantastica nei panni del braccio destro/amica/complice/assistente di Jobs, con uno sguardo o un sospiro riesce ad esprimere più di mille parole. Grazie a questo film ha conquistato il Golden Globe come migliore attrice non protagonista e ha buone probabilità di ripetersi ai prossimi Oscar. Ottimo anche il resto del cast, Jeff DanielsMichael Stuhlbarg, e un sorprendente e bravissimo Seth Rogen.

Ringraziamo Aaron Sorkin e Danny Boyle per aver raccontato nel migliore dei modi (e reso giustizia a) un personaggio affascinante e sfaccettato come Steve Jobs, un uomo consapevole della sua imperfezione che ha cercato con tutte le forze la perfezione nelle sue idee e invenzioni.

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