lunedì 25 gennaio 2016

La grande scommessa - la recensione

Il crollo delle banche che ha portato, nel 2008, alla crisi economica mondiale che ancora oggi affligge la società. Non esattamente un tema facile da affrontare senza dilungarsi in tecnicismi e questo Adam McKay lo sa benissimo e ci gioca con maestria e ironia, sfondando più volte la quarta parete cinematografica per rendere un argomento tanto complesso fruibile a tutti.
Grazie a dialoghi brillanti ed espedienti narrativi originali (come i divertenti momenti in cui personalità note del mondo dello spettacolo spiegano in termini semplici concetti complicati) non ci si annoia mai e si riesce a seguire abbastanza fluidamente la trama attraverso gli alti e bassi del mercato finanziario, la compravendita di 'swag' e la bolla immobiliare pronta a scoppiare travolgendo il mercato.

Il cast è a dir poco azzeccato, a cominciare da Ryan Gosling, narratore solo a volte onnisciente che si rivolge direttamente al suo pubblico, a un fantastico Steve Carrell, personaggio caratterizzato dal suo pessimo carattere e da una storia tragica, perfettamente in grado di destreggiarsi tra momenti spiccatamente comici ad altri di fortissimo impatto emotivo, fino a un Christian Bale istrionico e con un occhio di vetro.
Degno di nota è il personaggio interpretato da Brad Pitt, particolare, a volte al limite del macchiettistico, ma a cui è affidato il compito di ricordare come alla fine a fare i conti con le conseguenze dei giochi di chi si diverte tra night club e macchine sportive, è la gente comune.

Nonostante lo stile particolare, i momenti metacinematografici e i personaggi sempre al limite del folle, ne La Grande Scommessa c'è un forte spirito documentaristico, che dona compattezza al film, rendendolo estremamente completo, raccontando attraverso le storie di chi, per primo, si accorse della crisi imminente, anche quegli anni della storia recentissima in cui si aveva l'impressione che nulla potesse andare storto, grazie anche a una colonna sonora perfetta che si adatta magnificamente a ogni momento e prende in prestito brani dal rap al rock per raccontare una società così vicina a noi eppure così diversa.
Scommettendo contro le stesse regole del racconto cinematografico, Adam McKay vince su tutta la linea, confezionando una pellicola di quasi totale perfezione narrativa e registica, con un cast stellare. 

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