giovedì 24 settembre 2015

Città di Carta - la recensione

Quentin Jacobsen, “Q” per gli amici”, è innamorato di Margo fin da bambino. Quando una notte la ragazza entra in camera sua per chiedergli in prestito la sua macchina, Q crede che le cose finalmente cambieranno con lei, ma il giorno dopo Margo è scomparsa, scappata di casa.
Inizia così una ricerca on the road per Quentin e i suoi amici, alla ricerca di Margo e del significato più profondo dell'amicizia e del crescere.


Città di Carta è tratto dall'omonimo romanzo di John Greene, già autore del fortunato Colpa delle Stelle, ma se nel precedente romanzo e film si scavava nella vita e nella morte, il tono di questa storia rimane leggero e spensierato fino alla fine. Ci si diverte molto durante il film, soprattutto grazie a un cast azzeccatissimo, capace di far rivivere appieno i personaggi immaginati dall'autore e in cui è facile identificarsi: chi non ha mai avuto un amico un po' buffone come Ben? O come Radar? Chi non si è mai sentito incompreso, come Lacey? Non siamo forse tutti un po' come Quentin?
La grande forza di Città di Carta sta tutta qui, non nel raccontare la storia dell'amore tra Q e Margo, né nella ricerca spasmodica di una ragazza scappata di casa, ma semplicemente nel raccontare di un viaggio tra amici, di come si impara a conoscersi e a come è difficile uscire dall'adolescenza per entrare finalmente nell'età adulta, pur rimanendo in fondo ciò che si è sempre stati.
Su tutto aleggia il mistero che la figura di Margo incarna, ma anche in questo caso c'è qualcosa di più da scoprire, qualcosa di diverso e inaspettato, perché forse Margo non è come tutti pensavano che fosse e in fondo chi di noi è realmente ciò che gli altri vedono?
Una storia d'amore e di amicizia sulle strade di un'America spensierata, un racconto di formazione alla riscoperta di se stessi, un film che sicuramente non deluderà chi ha amato il romanzo, ma nemmeno chi non lo ha mai fatto.

domenica 20 settembre 2015

Southpaw - la recensione

Ennesimo capitolo del "matrimonio" tra cinema e boxe, Southpaw, diretto da Antoine Fuqua, ci racconta la caduta e la risalita di un pugile.

Billy Hope (J.Gyllenhaal) è il campione imbattuto dei pesi medio-massimi. E' ricco, ha una famiglia unita, una moglie, Maureen (R.McAdams), conosciuta ai tempi dell'orfanotrofio, che lo sostiene, soffre insieme a lui dietro l'angolo, e cerca di convincerlo a dire basta con la boxe. Billy è indeciso ma i dolori e le ferite riportate durante l'ultimo durissimo incontro, che lo ha confermato campione, lo spingono a dare retta alla moglie. Una pallottola vagante sparata durante un rissa con un pugile che lo aveva provocato, cambia per sempre il corso della sua vita. Sua moglie muore, perde i soldi, la casa, gli portano via la figlia, così Billy dovrà cercare di ricominciare da zero e tornare sul ring per chiudere i conti con tutto.

Discesa e risalita, toccare il fondo più sporco e poi risalire con la sola forza d'animo, temi non nuovi nell'universo del cinema pugilistico. Trovare un'idea originale nel genere è praticamente impossibile, Rocky ha già detto tutto quello che c'era da dire, e l'ha fatto in modo epico e perfetto, e se non bastasse c'è anche un capolavoro come Toro Scatenato a chiudere le porte all'originalità in questo specifico genere. Questo però non significa che non si possono più fare film sulla boxe, lo sport più cinematografico di sempre, tutto sta a raccontare e affrontare nel modo giusto temi e situazioni già viste, come ha fatto ad esempio Clint Eastwood con il suo bellissimo Million Dollar Baby. Antoine Fuqua in Southpaw ci riesce a metà, e la parte più riuscita non è merito suo.

Scappare dagli stereotipi del genere è impossibile? e allora Fuqua decide di usarli tutti. La storia del film ha uno svolgimento piuttosto prevedibile? allora il regista opta per la mano pesante - come è nel suo stile, tra l'altro - decidendo di puntare tutto su dei "pugni emotivi" per cercare di colpire e stendere lo spettatore piuttosto che su una generale costruzione della storia e dell'ambiente intorno al protagonista. Questa scelta provoca degli strappi nell'andamento, momenti in cui si enfatizza e si carica, e altri in cui si tira avanti in modo un po' superficiale; alla fine si ha la sensazione che, dal punto di vista della storia, della sceneggiatura e dell'approfondimento di alcuni punti, si poteva fare meglio. Discorso diverso per le scene di combattimento e di allenamento, ben girate e coinvolgenti.

Punto di forza del film è sicuramente il cast. Il sempre più bravo Jake Gyllenhaal è assoluto protagonista del film, presente praticamente in tutte le scene e trasformato fisicamente da chili di muscoli (dopo la magrezza inquietante raggiunta in Nightcrawler), la sua grande carica emotiva e la presenza scenica risollevano il film ogni volta che comincia ad accasciarsi da un lato. Un'interpretazione molto intensa che coinvolge e riesce a trascinare lo spettatore nella storia. Molto bravo anche Forest Whitaker, che con un personaggio appena accennato, e che entra in scena solo a metà film (un po' troppo tardi), riesce comunque ad incidere in modo evidente. Nel cast anche Rachel McAdams, Naomie Harris e 50 Cent.

Non diventerà un punto fermo nel genere dei film sulla boxe, ha sicuramente tanti difetti, ma alla fine Southpaw non annoia affatto, e in un modo o nell'altro, usando temi e situazioni sicuramente già viste, toccando corde già testate per stimolare la sensibilità dello spettatore, grazie a un ottimo protagonista, e grazie a uno sport che al cinema rende tantissimo, riesce a coinvolgere. Alla fine però resta anche il dubbio che, con un regista diverso, più equilibrato, avrebbe potuto essere qualcosa in più.

giovedì 17 settembre 2015

Inside Out - la recensione

Pete Docter. Basterebbe questo nome per definire in maniera efficace Inside Out, nuovo lungometraggio d'animazione dei Pixar Animation Studios, già definito da molti un vero e proprio capolavoro (pensiero ampiamente condivisibile).

La Pixar ci ha deliziato nel tempo con storie visivamente impeccabili e pregne di grandi emozioni. Ma cosa accadrebbe se lo spettatore potesse ammirare un film direttamente dal punto di vista delle emozioni? Inside Out esplora esattamente tale contesto: le Emozioni.

La pellicola segue la crescita di una bambina di 11 anni di nome Riley. La piccola subirà un duro colpo emotivo quando con la sua famiglia sarà costretta ad abbandonare la sua vita nel Minnesota per trasferirsi a San Francisco. Tutto è già di per sé molto interessante, ma la Pixar decide di avanzare di livello affidando alle emozioni della ragazzina il palcoscenico. Vediamo infatti l'emotività di Riley prendere forma con Gioia, Tristezza, Disgusto, Rabbia e Paura. Sono loro le cinque emozioni che governano la sua mente, e sono loro che determineranno il futuro di Riley.

Il regista di Up e di Monsters & Co. ci porta in un vero e proprio viaggio mentale fatto di colori, traumi, ricordi e ovviamente emozioni. Difficile non entrare in empatia con Riley, una bambina nel pieno della crescita che, come tutti noi, è costretta ad affrontare dei cambiamenti, sia positivi che negativi vissuti attraverso gli occhi di Gioia e Tristezza, le due emozioni predominanti che saranno messe a dura prova attraverso un viaggio illuminante in grado forse di avvicinarle.
Cosparso di gag esilaranti e trovate visive geniali, Inside Out riesce a riportare la Pixar ai vecchi fasti di un tempo, quando le vere emozioni erano il vero e unico pilastro portante.


mercoledì 16 settembre 2015

Via dalla Pazza Folla - la recensione

Via dalla pazza folla, il romanzo di Thomas Hardy, è un classico della letteratura inglese e si allaccia a quel genere, incarnato principalmente nei romanzi di Jane Austen, che fa del romanticismo e del fascino della protagonista il suo punto forte. E allora abbiamo Batsceba Everdene, bellissima e ribelle eroina romantica, divisa nell'amore per tre uomini estremamente diversi tra loro e desiderosa di mantenere quella libertà che sente di aver faticosamente conquistato.



Questo genere letterario ben si presta a trasposizioni cinematografiche e gli inglesi lo sanno bene, tanto da averne fatto il loro punto di forza e biglietto da visita, quasi inventando un tipo di period drama immediatamente riconoscibile: fotografia sontuosa che fa del meraviglioso paesaggio della campagna inglese un vero e proprio personaggio, giocando con i tramonti, il vento e gli interminabili prati, aiutato da una regia pulita, di ampio respiro, senza particolari manierismi, e una colonna sonora che immerge totalmente in un'altra epoca.

Il punto di forza di questo genere è sempre stato, però, il cast, forte della vasta scelta di grandi attori che le scuole de Regno Unito sfornano regolarmente, e anche in questo caso non si è da meno: Carey Mulligan è ormai un'attrice a tutto tondo che non ha bisogno di strafare, recita con compostezza e sentimento un personaggio estremamente affascinante, forte nelle sue fragilità, che nel suo essere fuori dai canoni della società vittoriana, riesce comunque a conservare una femminilità di stampo classico. Accanto  le spiccano le prove altrettanto superbe di Michael Sheen e soprattutto di Matthias Schoenaerts, personaggio che emerge magnificamente nella trasposizione cinematografica e che alla fine risulta vero vincitore morale della vicenda.

Un film classico, fatto di immensi paesaggi ed emozioni con un cast straordinario, uno dei migliori esempi di period drama inglese che si farà ricordare nel cuore di tutti gli amanti del genere.

domenica 13 settembre 2015

Venezia 72 - i vincitori

Si è concluso ieri il 72° Festival di Venezia, fra i mugugni della stampa, a vincere sono stati dei film a sorpresa.

Il Leone d'Oro è andato al sudamericano Desde allà di Lorenzo Vigas. Parla spagnolo anche il Leone d'Argento per la regia El clan di Pablo Trapero.
Due premi importanti a due film latino-americani che hanno fatto "insospettire" la stampa, visto che il presidente di giuria era un certo Alfonso Cuaron, Il regista, che forse si aspettava questa sterile polemica, non ha perso occasione per scherzare. "La verità è che mi hanno dato un sacco di soldi", ha detto Cuaron, "No... conto come il re di Svezia. Ho potere di voto esattamente come gli altri, è una carica puramente rappresentativa. Non avrei potuto cospirare nemmeno volendo". "Abbiamo semplicemente guardato dei film, ne abbiamo discusso, non dico che ci sia stato sempre accordo, ci siamo anche divertiti, nonostante dei piccoli scontri", ha continuato a spiegare il regista messicano, presidente della giuria del Concorso, "C'è stata unanimità nell'approccio, più  che nella decisione. Alcuni amano un film, altri un altro. E’ quello che avviene in una democrazia e bisogna imparare ad accettarlo. Non è una dichiarazione di verità universale, sono una decisione presa da questo gruppo di persone. Ci fosse stata un’altra giuria ci sarebbe stato un altro premio. E dopotutto, è solo un premio, non è poi così importante. Sono orgoglioso, ovvio, che abbia vinto un film latino-americano. Ma non lo abbiamo scelto mica per questo, credetemi. Per quanto due parole come messicano e credibilità possano stare vicini".

Soddisfazione anche per l'Italia, con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile assegnata a Valeria Golino, per il film Per Amor Vostro. La Coppa Volpi per l'interpretazione maschile è andata invece a Fabrice Luchini per L'hermine. Grandi applausi per il giovanissimo Abraham Attah, protagonista di Beasts of No Nation di Cary Fukunaga, che ha vinto il premio Marcello Mastroianni come migliore attore emergente. Spazio anche per l'animazione, a vincere il Gran Premio della Giuria è stato il film in stop-motion Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson.

Ecco tutti i vincitori.

Leone d’Oro per il miglior film
Desde allà di Lorenzo Vigas

Leone d’Argento per la migliore regia
El clan di Pablo Trapero

Gran Premio della Giuria
Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson

Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile
Fabrice Luchini per L'hermine

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile
Valeria Golino Per amor vostro di Giuseppe Gaudino

Premio Marcello Mastroianni (giovane attore/attrice emergente)
Abraham Attah per Beasts of No Nation

Premio per la migliore sceneggiatura
Christian Vincent per L'hermine

Premio Speciale della Giuria
Abluka - Follia di Emin Alper

Premio Orizzonti per il miglior film
Free in Deed di Jake Mahaffy

Premio Orizzonti per la migliore regia
The Childhood of a Leader di Brady Corbet

Premio Speciale della Giuria Orizzonti
Boi neon di Gabriel Mascaro

Premio Orizzonti per la miglior interpretazione maschile o femminile
Dominique Leborne per Tempête di Samuel Collardey

Premio Orizzonti per il migliore cortometraggio
Belladonna di Dubravka Turić

Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima 'Luigi De Laurentiis'
The Childhood of a Leader di Brady Corbet

Premio Venezia Classici per il miglior film restaurato
Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini

Premio Venezia Classici per il miglior documentario sul cinema
The 1.000 Eyes of Dr Maddin di Yves Montmayeur

venerdì 11 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 10

Quarto e ultimo film italiano in Concorso al 72° Festival di Venezia.

E' stato presentato oggi il film Per Amore Vostro, diretto da Giuseppe Gaudino, con Valeria Golino protagonista.

"Anna (Golino) è stata una bambina spavalda e coraggiosa. Oggi, è una donna "ignava", nella sua Napoli, che da vent'anni ha smesso di vedere quel che davvero accade nella sua famiglia, preferendo non prendere posizione, sospesa tra Bene e Male. Per amore dei tre figli e della famiglia, ha lasciato che la sua vita si spegnesse, lentamente. Fino a convincersi di essere una "cosa da niente". La sua vita è così grigia che non vede più i colori, benché sul lavoro - fa la "suggeritrice" in uno studio televisivo - sia apprezzata e amata, e questo la riempia di orgoglio. Anna ha doti innate nell'aiutare gli altri, ma non le adopera per se stessa. Non trova mai le parole né l'occasione per darsi aiuto. Quando finalmente, dopo anni di precariato, riesce a ottenere un lavoro stabile, inizia il suo affrancamento da questo stato. Anche dal marito, del quale decide finalmente di liberarsi. Da quel giorno affronta le tante paure sopite negli anni, come quella di affacciarsi al balcone di fronte al mare... Perché sa che quel mare è per lei un oracolo. Il mare unico elemento ancora non contaminato dal suo sguardo grigio." [da ComingSoon.it]

Per Amore Vostro è un film a tratti onirico, con la realtà in bianco e nero e i sogni di Anna a colori, che cerca la realtà attraverso un difficile percorso. "Vorrei che al pubblico arrivasse l'esperienza di una donna che per troppo tempo ha vissuto senza prendere posizione, nell'incertezza di come e quando intervenire", ha spiegato il regista parlando della protagonista del film, "Anna prende coscienza quando vede che anche i suoi figli la stanno abbandonando e trova il coraggio di un gesto di rottura".
Nel cast sono presenti anche Adriano GianniniMassimiliano Gallo, ma la protagonista assoluta del film è Valeria Golino, che ha anche coprodotto il film. "Oggi l'emozione più forte è sicuramente quella dell'interprete anche se ovviamente c'è anche quella della produttrice", ha raccontato l'attrice, che sul suo personaggio ha poi dichiarato, "ho cercato di accompagnarlo come ho potuto, è pieno di contraddizioni, un po' come succede nella vita, mi sono arrabattata con quello che stava succedendo cercando di rendere la complessità delle emozioni. Non siamo mai completamente felici o completamente tristi, l'essere umano è un essere complesso. E' stata un'avventura rocambolesca anche perché il metodo di lavoro di Beppe è quello di buttarti senza rete nelle situazioni".

Il film, che ha diviso la critica dopo la proiezione stampa, sarà nelle sale dal 17 settembre.

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Oggi è stata anche una giornata "musicale", con la presentazione del Decalogo di Vasco, documentario dedicato a Vasco Rossi. Presenti al Lido tanti fan in attesa del cantante.

giovedì 10 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 8 e 9

Il festival si avvicina alla sua conclusione e intanto racconta gli effetti delle guerre, passate e presenti.

Presentato in Concorso il nuovo film di Atom Egoyan, Remember, che vede tra i protagonisti Christopher Plummer, Martin Landau e Bruno Ganz.

Il film racconta la storia di Zev (un convincente Plummer), ebreo, da poco vedovo e con un principio di Alzheimer, decide di andare a cercare e uccidere l'SS che ha sterminato la sua famiglia e quella di un suo amico della casa di cura, Max (Landau), che gli ha scritto una lettera per spiegargli come fare a trovare quell'uomo. Ma la memoria vacilla, Zev attraverserà gli Stati Uniti e il Canada incontrndo anziani con problemi come lui ma che potrebbero celare l'identità dell'uomo che sta cercando.

Un film all'apparenza semplice ma con un finale spiazzante che potrebbe lasciare lo spettatore confuso e sconcertato. "Questa è l'ultima storia che si può raccontare al giorno d'oggi in relazione a quel periodo storico, la seconda guerra mondiale e il nazismo, perché parla dell'ultima occasione di farsi giustizia per chi ha vissuto di persona l'Olocausto", ha raccontato il regista in conferenza stampa, "non avevo mai incontrato un personaggio come Zev, questa storia è un viaggio emotivo profondo anche se tocca indubbiamente temi che ho già affrontato in forma diversa, in particolare il tema della memoria".

Assente alla conferenza ma presente grazie a un collegamento via Skype, l'attore premio Oscar Christopher Plummer ha descritto così il suo personaggio: "Zev è uomo comune, è un uomo semplice, anche se intelligente e colto, ed è molto chiuso. Sembra che abbia come unico scopo nella vita trovare l'assassino della sua famiglia. Ma ha l'Alzheimer, benché in fase iniziale, e così vive un po' dentro e un po' fuori dalla realtà".
L'attore ha anche speso due parole per il suo personale record: il più anziano a ricevere un Oscar (per Beginners, nel 2012). "Prima non ero certo un senzatetto, ma sicuramente dopo l'Oscar le mie quotazioni sono salite, adesso ricevo script più interessanti", ha dichiarato Plummer, "Credevo che Chaplin fosse più vecchio di me, quando ebbe la statuetta, invece pare che sia io il più anziano".

Remember arriverà in Italia grazie alla BIM.

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Ieri c'è stato anche spazio per l'impegno sociale, grazie al documentario Torn, protagonista Alessandro Gassmann, che nei panni di ambasciatore dell’Unhcr è andato in visita nei campi profughi siriani in Giordania e Libano.

"Ci sono oltre 4 milioni di rifugiati che a causa della guerra sono costretti ad andare via da un paese millenario, culla di civiltà, come la Siria, che oggi rischia l'estinzione", ha dichiarato Gassmann, "Sono andato alla ricerca di artisti, musicisti, attori, registi, pittori, poeti, che mi hanno raccontato quel che succede, il loro strazio. Sono loro che mantengono vivo il legame con la tradizione e la cultura di un popolo che oggi rischia di finire polverizzato. Gli artisti siriani mi raccontavano, e il fantasma della guerra ballava accanto a noi. I caccia militari sfrecciavano verso il loro Paese con il carico di bombe. [...] Il lavoro che fanno le organizzazioni umanitarie è eroico. I rifugiati sono argomento politico e strumentale, su cui spesso c'è cattiva informazione: solo il 2% è arrivato in Europa, il 98% è nei campi profughi. Bisogna essere accoglienti, dimostrare umanità, non certo essere spaventati da persone che hanno perso tutto non per loro volontà". Gassmann ha prestato volentieri la sua immagine per un documentario che affronta un tema così importante e attuale. "Ho pensato che non solo potevo essere utile alla sensibilizzazione essendo io un personaggio conosciuto", ha spiegato l'attore, "ma che potevo mettere il mio mestiere di attore e regista al servizio di questa operazione. Il Libano era per i siriani un posto di vacanza, quello che può essere l’Italia per i tedeschi. Ora bisogna fare i conti con la presenza di un milione e duecentomila persone che prima non c’erano. Eppure l’atmosfera è di assoluta fratellanza, accoglienza. Ce n’è di cose da imparare. E’ stato il viaggio più importante della mia vita".

Nella serata di ieri è stato anche consegnato il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker 2015 al regista Brian De Palma.

mercoledì 9 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 7

Ancora Italia nella settima giornata del Festival di Venezia.

A tre anni da Bella Addormentata, Marco Bellocchio porta in Concorso al Lido il suo ultimo film, Sangue del Mio Sangue.

Sdoppiato in due epoche differenti, il film racconta prima la storia di Federico Mai, uomo d'armi del Seicento che si reca in un convento per convincere la suora che ha sedotto suo fratello, prete morto suicida, a confessare di averlo spinto al folle gesto stringendo un patto col diavolo, una confessione che permetterebbe a Federico di ottenere una sepoltura in terra consacrata per il fratello. Per costringere la suora a confessare, la donna viene sottoposta ai metodi dell'inquisizione, ma intanto anche Federico rimane affascinato da lei. Cambio d'epoca, cambio di registro, stesso luogo, dove un altro Federico Mai, che si spaccia per ispettore ministeriale, ma in realtà è un truffatore, cerca di organizzare la vendita del convento a un miliardario russo, andando però a disturbare la tranquillità del Conte, un vampiro che gestisce la piccola comunità con metodi massonici.

Tanti temi diversi, alcuni molto personali, altri spiazzanti, altri ancora politico-religiosi, nel nuovo film di Bellocchio, che si approccia al festival, in particolare al Concorso, con molta serenità. "Non mi preoccupo di come andrà qui a Venezia, sono molto entusiasta e molto rilassato", ha detto il regista, "Sono qui con serietà ma forse più leggerezza rispetto al passato. Non che negli anni scorsi, sia quando ho preso batoste che quando ho avuto risultati apprezzabili, la mia vita sia poi cambiata molto... Nanni Moretti dice ciò che conta è che tu sia stato invitato, certo, però se sei in concorso non ti dispiacerebbe anche vincere".
Il film è ambientato nella città di Bobbio, tanto cara al regista. "Bobbio è il mondo, non certo perché lì si trova la verità", ha dichiarato Bellocchio, "Io sono piacentino, ma ho con Bobbio un rapporto di paternità, lì ho trovato delle costanti che si possono ritrovare anche a Roma o New York. Senza presunzione, parlando di Bobbio si può parlare dell’Italia che ha perso la sua dimensione paesana. La globalizzazione ha fatto saltare completamente la dimensione tutta italiana di protezione ma anche di assistenzialismo corrotto che garantiva a tutti un certo benessere. Il personaggio del conte di Herlitzka è il simbolo di tutto questo, uno stratega di questo isolazionismo vampiristico, figlio di quell'Italia lì, frutto della controriforma, del dominio assoluto della Chiesa cattolica che oggi c’è molto meno. Dopotutto, sembra che questo Papa sia più a sinistra dei leader di sinistra!".

Il film - che vede nel cast Elena e Pier Giorgio Bellocchio, Alba Rohrwacher, Lidiya Liberman, Roberto Herlitzka e Filippo Timi - ha avuto una buona accoglienza alla proiezione stampa.

Sangue del Mio Sangue sarà nelle sale dal 9 settembre.

lunedì 7 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 5 e 6

Una domenica e un lunedì segnato soprattutto dal cinema italiano al Festival di Venezia, ieri Luca Guadagnino con il suo A Bigger Splash, e oggi l'ultimo film di Claudio Caligari, Non Essere Cattivo.

Presentato il secondo film italiano in Concorso, A Bigger Splash di Luca Guadagnino, che vede come protagonisti un quartetto di attori stranieri: Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Dakota Johnson e Matthias Schoenaerts.

Remake del francese La Piscine, il film è un thriller che racconta la vacanza a Pantelleria di una rock star, Marianne Lane (Swinton), e il suo compagno, Paul (Schoenaerts). La tranquillità del soggiorno sull'isola viene interrotta dall'improvvisa comparsa di Harry (Fiennes), amico e ex-amante di Marianne, accompagnato dalla figlia-lolita Penelope (Johnson). La vacanza si trasformerà in una discesa nella passione, la gelosia e l'erotismo.

"Quando ho avuto l’idea di girare 'A Bigger Splash', volevo affrontare i sentimenti e il desiderio di quattro personaggi molto diversi tra di loro", ha spiegato il regista durante la conferenza stampa, "con prospettive e visioni del mondo differenti. Nel film, volevo farne deflagrare i sentimenti. Avevo bisogno di uno scenario particolare, caratteristico, unico dove far consumare questa esplosione. Una location particolarmente bella e caratteristica". E la scelta è caduta sull'Isola di Pantelleria, anche se il regista ci ha tenuto a precisare di non averla scelta perché siciliano. "Ho solo seguito il mio istinto", ha detto Guadagnino, "quando mi è venuta l’idea di fare un film su questo quartetto abbandonato in un momento dell’estate. Pantelleria con le sue violenze e contrasti era perfetta. In più è una zona di confine che chiede di essere capita da questi personaggi e richiede una domanda etica". Molti giornalisti in sala hanno chiesto al regista perché ha inserito nel film il tema degli "immigrati", parola che ha provocato la reazione dell Swinton: "Possiamo evitare di chiamarli immigrati? Sono rifugiati di guerra". Affermazione con cui l'attrice si è guadagnata gli applausi della sala.

Tida Swinton, che ha già lavorato con Guadagnino, interpreta una rock star che ha appena subito un intervento alla gola e non parla mai per tutto il film, se non in piccoli sussurri ogni tanto. "Quando Luca mi ha proposto di fare il film ero in un periodo della mia vita in cui non volevo fare cinema e in cui non volevo parlare", ha raccontato l'attrice, "Poi ci siamo confrontati, mi ha spiegato il progetto e volevo farlo. Volevo lavorare con lui, con un cast così eccezionale e girare a Pantelleria. Mi chiedevo “Come posso farne parte senza parlare?” Allora ho proposto a Luca che il mio personaggio fosse quasi muto, e lui ha detto sì. Ed era un buon modo per esprimere la difficoltà di comunicare di questo gruppo di personaggi in lotta".
Una delle scene più riuscite e apprezzate del film vede come protagonista Ralph Fiennes impegnato in un balletto. "Nessuno mi aveva mai chiesto di esprimermi ballando", ha detto l'attore divertito, "non ho potuto far altro che dire grazie. Avevamo solo un giorno per girare la scena, ma avevo fatto delle prove da solo, ascoltando a ripetizione la canzone nell’ipod, così l’abbiamo girata in un solo pomeriggio". Balletto che l'attore ha accennato sia in sala che davanti ai fotografi. Ad interpretare la figlia di Fiennes è Dakota Johnson, che si è aggregata al cast a lavorazione quasi conclusa. "Per me è stato molto interessante far parte di questo film. È stata un’esperienza veloce ed esplosiva", ha detto l'attrice, alla sua seconda conferenza stampa a Venezia, "Penelope è una giovane ragazza iper-intelligente che ha questo strano rapporto con la sua sessualità e sta cercando di capire cosa vuol dire avere un corpo sexy e soprattutto come utilizzarlo. Per certi versi fa paura perché utilizza quest'arma per manipolare le emozioni degli altri e trarne piacere". Inevitabili le domande della stampa sulla sua scena di nudo, per cui l'attrice ha dichiarato tranquillamente di non aver provato nessun tipo d'imbarazzo.

Applausi e fischi hanno accompagnato il film di Guadagnino alla fine della proiezione stampa, fischi a cui il regista era preparato e di cui non si preoccupa affatto. "Dobbiamo sempre fare cinema per prenderci dei rischi, per sondare territori insidiosi, altrimenti perché facciamo cinema?", ha dichiarato il regista durante la conferenza, prendendosi applausi ma anche qualche fischio (di nuovo) da una piccola parte di giornalisti.

Il film sarà distribuito dalla Lucky Red e uscirà il 26 novembre.

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E' passato un po' inosservato ieri, ma al Festival è arrivato anche Shia LaBeouf, per presentare il film Man Down, diretto da Dito Montiel.

Il film racconta di un ex-marine (LaBeouf), che insieme ad un amico, si mette alla ricerca della moglie e del figlio in un'America post-apocalittica, ma dovrà fare i conti con gli errori commessi in passato quando era sotto le armi.

Nel cast anche Jai Courtney, Kate Mara e Gary Oldman (assenti al Lido).

"'Man Down' è un piccolo film che finge di essere grande, e che racconta di una famiglia intrappolata nella storia", così ha spiegato il film il regista, mentre LaBeouf ha dichiarato: "Montiel mi ha proposto il ruolo di Gabriel in un periodo in cui ero di pessimo umore, e quindi interpretare un personaggio così vulnerabile è stata una terapia".

Il film è stato presentato Fuori Concorso.

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Un altro film italiano, stavolta Fuori Concorso (anche se molti l'avrebbero voluto in Concorso), è stato presentato oggi. Si tratta di Non Essere Cattivo, ultimo lavoro di Claudio Caligari, scomparso nel maggio scorso proprio alla fine della lavorazione del film.

Ad accompagnare il film era presente il cast e Valerio Mastandrea, produttore della pellicola ma prima di tutto amico di Caligari, con cui l'attore romano ha girato il film L'Odore della Notte (1998). "Peccato non farlo giudicare a una giuria internazionale, peccato anche per gli attori", ha detto Mastandrea, "Sono amareggiato da questa decisione perché so quello che ci ha messo dentro Claudio, che veniva sul set anche se gli restavano pochi giorni di vita. Ma Claudio c'è. Siamo tutti emozionati, stasera ci si romperanno le acque".

Caligari in trent'anni di carriera ha girato solo tre film, Amore Tossico (1983), L'Odore della Notte, e Non Essere Cattivo, film chiusura di una ideale trilogia del regista. Ambientato a Ostia, il film racconta l'amicizia di due ragazzi, Vittorio e Cesare, che trascorrono le loro giornate tra sballo, corse in macchina, spaccio e piccola malavita.

"È vero, 'Non Essere Cattivo' è un film sull'amicizia di due uomini realizzato grazie all'amicizia tra due uomini ma è anche molto di più", ha continuato un emozionato Valerio Mastandrea, "Intanto perché non è solo grazie a me e a Claudio che si è realizzato questo film, ma grazie anche a tantissimi altri amici comuni, molti dei quali saranno qui stasera per festeggiare: maestranze, lavoratori della postproduzione, persone che normalmente non vengono ai festival ma che invece sono state fondamentali per portare a termine il film". Una pellicola per cui Caligari e Mastandrea hanno lottato, l'attore è arrivato addirittura a scrivere una lettere appello a Martin Scorsese, per chiedere aiuto. "Claudio voleva rappresentare una storia piccola di amicizia, un'amicizia immensa in un contesto sociale che lentamente ti stritola", ha raccontato ancora Mastandrea, "Le latitudini che Claudio esplorava erano sempre le stesse e qui mostra come si può corrompere questo mondo borgataro, attraverso nuove droghe accessibili a tutti e l'illusione che il lavoro sia il fondamento della società. [...] Mi mancherà molto il cinema di Claudio Caligari, quelle tematiche che sono le stesse di Martin Scorsese, Brian De Palma, Francis Ford Coppola - dice Mastandrea - Una volta, stavamo all'Idroscalo di Fiumicino, Claudio si avvicina al monitor e mi dice 'la vedi questa inquadratura? È da Giungla d'asfalto, lo conosci?... No, non l'hai visto'. Facendomi sentire un completo ignorante. Era un continuo fare, parlare, pensare e muoversi fatto di cinema e basta. E questo è quello che mi mancherà di più di Claudio, non il fatto di non poter più recitare nei suoi film, ma non poter parlare di cinema e fare cinema con lui".

Il film, che vede come protagonisti Luca Marinelli e Alessandro Borghi. sarà nelle sale dall'8 settembre.

sabato 5 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 4

Sabato molto pieno al Festival di Venezia, presentati in Concorso tre titoli importanti: The Danish Girl, L'Attesa (primo film italiano), e Equals.

Accolto da grandi applausi e buone critiche (e anche qualche lacrima), The Danish Girl, di Tom Hooper, conquista il festival.

Il film racconta la storia dell'artista austriaco Einar Wegener, alias Lili Elbe, la prima persona ad aver subito l'intervento chirurgico - del tutto sperimentale e molto pericoloso negli anni '30 - per la "riassegnazione sessuale".

Protagonista del film uno straordinario Eddie Redmayne, vincitore del premio Oscar 2015 per La Teoria del Tutto e che con questo film probabilmente si guadagnerà un'altra nomination. Nel cast anche una bravissima Alicia Vikander (anche lei in odore di nomination all'Oscar), Amber HeardMatthias Schoenaerts.

"Questo film parla dell'accettazione resa possibile dall'amore", ha spiegato il regista Tom Hooper, "viviamo in un mondo diviso. Il film è un appello a prendere in considerazione uomini e donne trans che soffrono. L'insegnamento straordinario che ci viene da Gerda è la condivisione, il loro è un amore sincero che parte dall'accettazione dell'altro. [...] Fin dall'inizio, dalle prime conversazioni abbiamo parlato di una donna che si rivelava, come scoprire questa femminilità latente ci ha guidato attraverso questo percorso profondo, non identificarsi con il genere con cui si appartiene. Non ci sono vie per la libertà, Lili ha combattuto". Nei mesi scorsi è stata fatta qualche polemica sulla mancata scelta di una vera trans per il ruolo. "L'accesso agli attori transgender a ruoli importanti è troppo limitato, e io sono il primo a volere che tutto questo cambi", ha spiegato il regista, "Con questo film abbiamo coinvolto le comunità trans di Copenhagen, Bruxelles, Londra e ci sono diverse partecipazioni come, ad esempio quella dell'attrice trans Rebecca Hoot". La Hoot nel film interpreta il piccolo piccolo ma significativo ruolo dell'infermiera che accompagna Lili durante la sua "trasformazione".

Eddie Redmayne non ci ha pensato due volte prima di accettare il ruolo. "Forse la migliore sceneggiatura che io abbia mai letto", ha detto l'attore, "sono rimasto colpito da questa storia d'amore appassionata e coraggiosa, con Tom abbiamo parlato per anni del progetto, l'idea del trasformarsi non è molto semplice da mettere in pratica. Poter recitare la parte di Lili è stato un sogno che si è realizzato". L'attore ha poi raccontato di essersi documentato molto per prepararsi al personaggio: "Ho incontrato tante persone nella comunità transgender, la loro gentilezza, il loro sostegno, la loro disponibilità ad aiutarmi nell'affrontare questo percorso è stata straordinaria. In quel momento storico non esistevano esperienze precedenti ed è importante capire come il loro percorso si sia evoluto". Essenziale nella vita di Lili è stato l'appoggio della moglie Gerda, interpretata dall'attrice svedese Alicia Vikander. "Sono stata attratta da questa storia d’amore, è una storia unica, come amare e amare se stessi", ha detto l'attrice durante la conferenza stampa, "per l’epoca Gerda era una donna all'avanguardia, un’artista, vedeva e prevedeva e io stessa sono rimasta colpita da questi due ruoli del film. In Gerda ho trovato una donna che è in grado di amare qualcun’altra più di se stessa. Anche io lo vorrei".

Aspettando gli Oscar, chissà se il film verrà preso in considerazione per qualche premio al Festival. The Danish Girl sarà nelle sale italiane a febbraio 2016.

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Presentato, sempre in Concorso, il film Equals di Drake Doremus, che vede come protagonisti Nicholas Hoult e l'attesissima Kristen Stewart, arrivata al Lido per la gioia dei fan.

Storia d'amore fantascientifica, il film è ambientato in un futuro distopico, in una società chiamata "Collective" dove vivono gli "Equals", esseri umani incapaci di provare sentimenti a causa di un esperimento genetico che ha trattato le emozioni come una malattia al fine di creare una società stabile e non violenta. L'equilibrio si rompe quando Mia e Siles s'incontrano.
Il film è liberamente ispirato alla pellicola '1984', basato a sua volta sul celebre romanzo di George Orwell, e vede nel cast anche Guy Pearce e Jackie Weaver.

"Con questa storia volevo mostrare come si vivrebbe nel quotidiano in una società che ha bandito tutti i sentimenti", ha spiegato il regista Drake Doremus, "Il futuro in questo film non è un mondo iper-tecnologico ma una società post-futuristica. In questa utopica realtà, i sentimenti sono banditi. I due protagonisti contravvengono alle regole imposte e vivono una storia d’amore. Questa è l’idea di base, non è una distopia ma una utopia, una società che assicura l’ordine e la pace privando i propri cittadini delle emozioni e dei sentimenti". "Ci sono varie progressioni", ha detto il regista parlando dello stile usato nel film, "è molto istintivo ed anche voyeristico, e l’attore pian piano comincia ad accendersi. Il mondo vive e si accende con nuovi colori che prima non venivano mostrati, via via che i protagonisti scoprono di amarsi ed anche il pubblico pian piano deve accendere il cuore. Girare in Giappone dove regna un grande ordine ed una grande armonia ci ha sicuramente aiutato a realizzare il film".

Un progetto molto stimolante per Kristen Stewart, che ha dichiarato di essersi buttata anima e corpo nel personaggio. "E’ stato difficile recitare come se stessi morendo, senza emozioni da far trasparire, esprimere il nulla, questa era la difficoltà", ha spiegato l'attrice, "era un processo molto difficile, non si deve pensare ma si deve recitare. [...] In 'Equals' parlo sempre come parte del collettivo, non ci sono dubbi, solo certezze. Tutti i cittadini sono esattamente uguali nel vestire, nei pensieri e nei comportamenti". "La domanda che ci poniamo in questo film è: possiamo esistere senza passione, l’umanità può sopravvivere senza amore?", ha continuato l'attrice, "Senza le nostre passioni ed i nostri sentimenti diventiamo come grigi fantasmi che vagano svuotati di ogni senso. Le passioni fanno girare il mondo. Senza esisterebbe ancora il mondo come lo conosciamo?". "I personaggi agiscono contro tutte le regole della società al solo scopo di portare avanti il loro amore e scoprire i loro sentimenti, farli vivere", ha detto poi Nicholas Hoult continuando il pensiero della sua partner nel film, "La fantascienza, secondo me, non è la parte prevalente della storia raccontata in questo film, sono i sentimenti l’aspetto principale".

Il film non ha ricevuto critiche particolarmente esaltanti, ma i commenti hanno sottolineato la continua crescita di Kristen Stewart come attrice. I tempi "piatti" di Twilight sembrano ormai lontani.

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Il cinema italiano fa il suo debutto nel Concorso con il film L'Attesa di Piero Messina, con l'attrice francese Juliette Binoche protagonista.

Ambientato in Sicilia durante il periodo pasquale, il film racconta l'attesa di una ragazza (Lou de Laage) che aspetta il ritorno del fidanzato insieme alla madre di lui (Binoche). Una madre che non ha il coraggio di dire alla ragazza che il suo fidanzato, suo figlio, non tornerà più.

"Con questo film ho scoperto la Sicilia", ha dichiarato Juliette Binoche, che in Italia ha già girato qualche film, "Quella che vedrete nel film è la stessa che ho vissuto io, anche se non potrete vedere il caldo che ho patito! Amo la vostra lingua, il calore delle persone, delle stagioni, del cibo, dei prodotti della terra".
Il suo personaggio nel film, una madre che ha perso un figlio, ha dei punti in comune con uno dei suoi ruoli più famosi, quello in Film Blu di Kieslowski, con cui l'attrice ha vinto la Coppa Volpi, motivo per cui aveva quasi rifiutato la parte. "All’inizio non ero sicura, non volevo fare un film sullo stesso tema, che magari sarebbe risultato meno riuscito", ha detto la Binoche durante la conferenza stampa, "Ma è stata la sceneggiatura a convincermi. In effetti, qui il tema è quello di una persona che ricrea un mondo per poter pronunciare l’impronunciabile. Inizialmente mi ero preparata con un coach, ma non ero soddisfatta. Ho lasciato perdere, ho preferito affidarmi all’immaginazione più che alla memoria, il cosiddetto ‘magical thinking’. L’attore parte sempre da una sensazione corporea, su quella costruisce il pensiero".

Accoglienza "morbida" per il film ha diviso la critica, soprattutto quella italiana.

venerdì 4 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 3

Terzo giorno, sul festival si abbatte il ciclone Johnny Depp, con i fan in attesa davanti al palazzo del cinema già dalle prime ore del mattino.

Il motivo dell'arrivo di Depp al festival è la presentazione, fuori concorso, del gangster movie Black Mass, diretto da Scott Cooper. Presenti anche Dakota Johnson e Joel Edgerton.

Il film racconta la storia di James ‘Whitey’ Bulger (interpretato da un Johnny Depp quasi irriconoscibile), spietato criminale di origine irlandese attivo tra gli anni '70 e '80, con un fratello senatore, un aggancio nell'FBI che lo ha aiutato a far fuori la concorrenza della mafia italiana, e almeno 19 omicidi efferati sulle spalle. Nel 2007 Bulger figurava come "il secondo uomo più ricercato dopo Osama Bin Laden".

Tutti in attesa di Johnny Depp all'affollatissima conferenza stampa, e l'attore si è presentato con venti minuti di ritardo e una bottiglia di birra in mano. "Mi chiamo Dakota Fanning. Sapete ho cambiato nome la settimana scorsa. E visto che questa non è una bevanda alcolica, sappiate che se le risposte vengono male, è colpa vostra", ha subito scherzato, poi la conferenza è entrata nel vivo e l'attore è stato molto generoso nelle risposte.

Le prime domande sono state ovviamente sulla sua ennesima trasformazione fisica, nel film infatti l'attore appare ingrassato, con pochi capelli grigi e gli occhi molto azzurri. "Quando ho iniziato a fare questo mestiere sono rimasto per anni incastrato in un ruolo televisivo in cui dovevo essere quello che altri volevano. Era frustrante. Volevano fare di me un ragazzo da poster", ha spiegato Depp, che con questo film potrebbe anche guadagnarsi una nomination ai prossimi Oscar, "I miei eroi del cinema erano tutti trasformisti: John Barrymore, Lon Chaney Senior, Marlon Brando, John Garfield. Ho sempre amato gli attori capaci di cambiare radicalmente per il loro ruolo, così ho voluto farlo anche io. Ho sempre preferito essere un caratterista piuttosto che un ragazzino da copertina. Un vero attore ha un grado elevato di responsabilità verso il pubblico, deve provare a rinnovarsi senza annoiare. E non c’è niente di più noioso che interpretare sempre sé stessi. Cambiare ruolo è meno sicuro ma più stimolante. Preferisco rischiare, magari fare la figura del cretino, ma provare a reinventarmi sempre. [...] Il look di questo film è stato scelto in maniera accurata. Con Scott [Cooper] avevamo deciso che dovevo assomigliare a Jimmy il più possibile, soprattutto gli occhi blu. Io li ho neri, ma era assolutamente necessario che perforassero lo sguardo delle persone. Avevo anche chiesto al suo avvocato il permesso di incontrarlo in carcere. Ma lui, con molta gentilezza, ha declinato l'invito". "Johnny ha fatto un lavoro straordinario", ha continuato il regista Scott Cooper, "Alcuni dei veri protagonisti delle vicende sono venuti sul set. Un giorno ho visto uno di loro scuotere la testa, mi sono avvicinato e lui mi ha detto: “È esattamente come Jimmy"".

Non è la prima volta che Depp interpreta un criminale (è stato Dillinger in Public Enemies di Michael Mann) e non ha avuto problemi con il lato oscuro del personaggio. "Nel lavorare su Bulger ho pensato fosse corretto affrontarlo semplicemente come se si trattasse di un essere umano", ha raccontato Depp, "Nessuno si sveglia la mattina, si lava i denti, si fa la barba e pensa: ‘Quanto sono malvagio. Oggi farò qualcosa di cattivo’. Siamo nel contesto del suo business: lui è un uomo d’affari che pensa di fare la cosa giusta, e parla il linguaggio che parlano i suoi colleghi". E riguardo al proprio lato oscuro, Depp ha dichiarato: "Io e la mia parte malvagia siamo vecchi amici. L’ho incontrata molti anni fa".

Durante il Depp-show, piccolo spazio anche per Dakota Johnson, che ha raccontato come è stato interpretare per la prima volta un personaggio realmente esistito e non di fantasia. "Questo è il primo personaggio reale che interpreto", ha detto l'attrice, "avevo tante informazioni disponibili per forgiare il carattere del personaggio, ho visto molti filmati... è diverso che creare qualcosa dal nulla".

Alla fine però è ancora Depp il protagonista della conferenza. A chi gli ha chiesto se ha già portato i suoi cani (che hanno creato non pochi problemi all'attore in Australia a causa di alcune assurde leggi) a fare un giro in gondola, Depp ha risposto: "Li ho uccisi e li ho mangiati, su ordine diretto di un ciccione australiano". E poi un pensiero per i tanti fan in attesa di vederlo: "Non voglio chiamarli fan, è una parola che non mi piace. Le persone che aspettano fuori, dedicano tempo e sono così gentili ad aspettare tutte queste ore sotto il sole solo per dire 'ciao' e 'benvenuto'... io li considero i miei datori di lavoro. Io li considero i miei boss. Sono loro che spendono soldi per andare al cinema a vedere i nostri film e quindi ci danno lavoro. Provo un sentimento di grande calore e mi sento veramente grato nei loro confronti, quindi voglio ringraziare i miei boss là fuori". Semplicemente un grande, Johnny Depp.

Black Mass, che vede nel cast anche Benedict Cumberbatch, Rory Cochrane, Jesse Plemons, Peter Sarsgaard e Kevin Bacon (non più Sienna Miller, il suo cameo è stato tagliato), uscirà il 18 settembre negli USA. In Italia arriverà l'8 ottobre.

Ant Man - la recensione

Scott Lang di definisce un "topo d'appartamento" più che un rapinatore. Uscito di prigione e desideroso di rientrare nella vita della sua figlioletta, viene contattato dal dottor Hank Pym, geniale scenziato che cinquant'anni prima aveva inventato una tuta capace di rimpicciolire le persone. Questo l'incipit che porterà il ladro Scott a diventare uno dei simboli degli Avengers cartacei e nuova entrata per quanto riguarda l'Universo Cinematograficco Marvel.



Per quanto un supereroe minuscolo in grado di comandare eserciti di formiche possa avere il suo fascino tra le pagine dei fumetti, non era facile trasporre Ant Man su grande schermo.
Il regista Peyton Reed non aveva molta esperienza in merito a grandi blockbuster, venendo per lo più dal mondo della commedia (anche ottima, come nel caso di Down with Love - Abbasso l'amore), eppure si rivela una scelta azzeccata, donando al film quella giusta dose di humor che è diventato marchio distintivo dei film Marvel e che aiuta a metabolizzare il fatto di star vedendo sostanzialmente un supereroe non proprio convenzionale.
Ottima scelta il protagonista Paul Rudd, a suo agio nella parte, ma soprattutto la presenza di Michael Douglas, stupendo Hank Pym, primo indimenticabile Ant Man e mentore di Scott.
Era un po' di tempo che la Marvel non ci regalava una storia di origini, ma arrivata alla fase 3 ecco che cala un'altra carta vincente con un film che è semplice, divertente, ricco d'azione, ottimo anche per se stesso, ma contemporaneamente continua l'immersione totale in un universo immenso a 360 gradi.
Non resta che fare i complimenti al film e al progetto tutto che sembra diventato inarrestabile, non solo sul piano della quantità ma anche della qualità.

giovedì 3 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 2

Dopo l'apertura, il Festival di Venezia entra subito nel vivo con due film importanti che trattano temi molto difficili: Spotlight di Thomas McCarthy (Fuori Concorso), e Beasts of No Nation di Cary Fukunaga (Concorso)

Grandi applausi per il film Spotlight, che affronta lo spinoso tema della pedofilia nella Chiesa.

Il film è tratto da un'indagine fatta dal Boston Globe nel 2001 e 2002 per portare alla luce gli abusi sessuali su minori compiuti dai preti della chiesa di Boston, che per anni sono stati coperti dal cardinale Law (oggi canonico di Santa Maria Maggiore a Roma), scandali insabbiati grazie ad avvocati e a risarcimenti economici per comprare il silenzio delle famiglie vittime. Un lavoro giornalistico investigativo vastissimo e incredibilmente preciso diviso in circa seicento articoli.

Il film vede nel cast - che le prime recensioni descrivono come "in stato di grazia" - Mark Ruffalo, Stanley Tucci, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber e John Slattery.

"La pedofilia dei preti è un crimine diabolico perpetrato su vittime innocenti proprio da chi dovrebbe difenderle", non usa giri di parole il regista Thomas McCarthy, "Sono stati i due produttori a propormi questa storia, ho lavorato alla sceneggiatura con Josh Singer facendo molte ricerche e parlando con tanti sopravvissuti agli abusi dei preti. Tutti ci dicevano di un doppio tradimento, oltre all'abuso fisico c'era stato un abuso spirituale perché i colpevoli erano preti e rappresentavano la religione di cui loro si fidavano. Si sono sentiti abbandonati, hanno messo in discussione la loro fede, si sono sentiti in colpa, molti di loro si sono rifugiati nelle droghe e nell'alcol, qualcuno si è suicidato". "Spero che il Papa e i cardinali vedano questo film ma nonostante abbia grandi speranze in Papa Francesco rimango pessimista", ha continuato il regista, "Vengo da una famiglia cattolica, sono andato a scuola a Boston, ho amici che sono stati vittime di abusi, sono legato a questa storia in modo molto personale. Ho molto rispetto e ammirazione per quel che fanno certi sacerdoti, questo film non è un attacco alla Chiesa cattolica ma è una storia che andava raccontata. Soltanto il tempo ci darà se quello che è stato fatto è sufficiente".
Nel Papa confidano anche Mark Ruffalo e Stanley Tucci. "Spero che il Papa e il Vaticano utilizzino questo film, questa storia sobria e semplice, come opportunità per cominciare a curare le ferite che la Chiesa ha provocato", ha detto Ruffalo in conferenza stampa, "Non mi riferisco ai compensi monetari ma a tutte le persone che credono nella Chiesa e la cui fede è stata offesa, intaccata e colpita da queste vicende. Quello che è successo ai bambini è terribile, ma il fatto che ciò abbia diminuito la credibilità della Chiesa come istituzione è altrettanto terribile. Bisogna recuperare e curare questi bambini feriti che ora sono adulti, ma è necessario anche rassicurare le coscienze di chi crede e continua ad avere fiducia nella Chiesa". Leggermente più ottimista Stanley Tucci: "Se qualcuno riuscirà a fermare gli abusi sarà lui, Papa Francesco. È straordinario e ha fatto per questo problema quello che nessun altro ha fatto in tutti i secoli precedenti".

Tra i film che hanno ispirato Spotlight, ovviamente, c'è anche Tutti gli Uomini del Presidente, ma non solo. "'Tutti gli Uomini del Presidente' è un film importantissimo ma sono anche altri i film sul giornalismo investigativo che abbiamo avuto come fonte di ispirazione", ha spiegato McCarthy, "specialmente quelli di Sidney Lumet con la loro grande onestà, però abbiamo anche cercato di trovare la nostra strada autonoma".

Negli USA il film uscirà il 6 novembre.

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Ad aprire il Concorso ci pensa Beasts of No Nation, di Cary Fukunaga, film che racconta il dramma dei bambini soldato in Africa, con un Idris Elba in odore di nomination all'Oscar.

Il film è tratto da un libro di Uzodinma Iweala, che Fukunaga ha letto anni fa. "Sono laureato in scienze politiche e storia, e la geopolitica l'ho studiata con molta attenzione. Sono molto consapevole delle problematiche dell'Africa", ha spiegato Fukunaga, "Nel 2005 un mio amico mi ha regalato il libro di Uzodinma Iweala e in seguito ho fatto ricerche sul tema. Il libro non crea un contesto preciso così, quando ho decido di adattarlo, ho usato le mie ricerche sulla Liberia contestualizzando la vicenda in Ghana".
Un tema drammatico e violento quello dei bambini soldato ma il film non punta a scioccare con scene di violenza gratuita, anche se comunque presenta momenti molto duri da guardare, come la scena di iniziazione dei bambini. "Abbiamo lavorato con ragazzi della Liberia che hanno realmente partecipato alle guerre. Eravamo preoccupati perché temevamo che fargli rivivere la situazione di violenza provata durante l'infanzia avrebbe scatenato effetti traumatici", ha raccontato il regista, "Ma in realtà, quando si gira, il lavoro è frammentato. Sul set non si hanno le stesse emozioni che lo spettatore ha vedendo il film. Ci sono altre pellicole che affrontano la violenza ricostruendola, penso al documentario The Act of Killing, e capisco che qualcuno, vedendo il film, abbia pensato a qualche legame con le pratiche dell'Isis, ma quando abbiamo iniziato a girare, l'Isis era appena apparso sui giornali. La verità è ci sono analogie tra tutti i movimenti che puntano a indottrinare i ragazzini. I riti di iniziazione visti nel film sono antichi, li utilizzano le tribù locali. Una cosa che ho cercato di fare è stato evitare di approfondire la tematica religiosa, questo perché credo che la religione sia un tema ormai abusato".
Il regista ha poi spiegato i cambiamenti fatti sul personaggio di Idris Elba (assente a Venezia): "Nel romanzo il personaggio del Comandante è un po' strano, è una figura incerta. Nel film avevo bisogno di dargli dei contorni netti e un finale, così per delinearlo mi sono ispirato a un ribelle, l'ultimo sopravvissuto di una gang di Haiti che avevo incontrato. Volevo che il mio Comandante fosse uno strumento perfetto da usare per seminare il terrore tra la popolazione, per questo ho anche cambiato la sorte del Comandante rispetto al libro".

Il film è parzialmente prodotto da Netflix, Cary Fukunaga, che ha già collaborato con la HBO per True Detective, si è soffermato a parlare delle nuove piattaforme e dei problemi della distribuzione cinematografica oggi. "Credo che sia difficile guardare con attenzione un film facendo altre cose e interrompendo la visione", ha detto il regista, "Ogni regista auspica un pubblico attento. Ma la distribuzione è già cambiata. Le sale cinematografiche sono in crisi. I film restano poco in sala e far andare il pubblico al cinema è difficile".

Nelle sale americane dal 16 ottobre.

mercoledì 2 settembre 2015

Venezia 72 - giorno 1

Prende il via il 72° Festival di Venezia e ad aprire i battenti ci pensa Everest, di Baltasar Kormakur, con Jake Gyllenhaal, Josh Brolin, Jason Clarke, John Hawkes e Emily Watson presenti al Lido.

Tratto da fatti realmente accaduti, il film racconta la drammatica scalata alla montagna più alta del mondo da parte di due diverse spedizioni guidate da due uomini molto diversi: quella guidata da Rob Hall (Jason Clarke), capo della Adventure Consultants che cerca di accompagnare i suoi clienti fino alla vetta, e quella di Scott Fischer (Jake Gyllenhaal), alpinista americano sopra le righe, incosciente e col vizio dell'alcol. Ma la vetta dell'Everest è una sfida ai limiti umani e le due spedizioni si troveranno ad affrontare mille difficoltà, tra cui una violenta tempesta di neve.

Difficile è stata anche la lavorazione del film, con le riprese che si sono svolte tra gli studi di Pinewood, quelli di Cinecittà e le Dolomiti. Inizialmente il regista aveva deciso di girare proprio in Nepal ma il cast e la troupe non hanno resistito al clima estremo. "Ho portato davvero i miei attori in Nepal, prima a Katmandu e poi al campo base", ha raccontato Baltasar Kormakur, "ma dopo poco hanno cominciato a stare male e abbiamo optato per le Dolomiti, siamo stati in Val Senales e poi a Cinecittà e negli studi di Pinewood. Ma avevo le immagini dell'Everest girate nel 2014, anche durante una valanga". Le Dolomiti però non sono state sempre gentili. "Ci sono stati momenti difficili", ha continuato a raccontare il regista, "In Val Senales la produzione è stata colpita da una nevicata molto intensa e l'allarme valanghe è diventato reale, ma è stata un'esperienza straordinaria sia per il rapporto con la natura che per il senso di cameratismo che si è creato tra gli attori. Li ho fatti soffrire parecchio ma non li ho mai messi in pericolo". "Abbiamo girato con un vento pungente e temperature sotto zero", gli fa eco Jason Clarke, "ma nonostante il freddo, le punte dei piedi e delle mani quasi congelate è stata la migliore esperienza cinematografica che abbia mai avuto". "Poi siamo venuti a Cinecittà in cerca del sole!", ha scherzato il regista.

Da una parte il clima estremo, dall'altra l'emozionante incontro con i familiari delle due guide, Hall e Fischer. "E' stata un'emozione incredibile", ha raccontato Clarke, "incontrare la moglie di Hall, Jen, e la figlia Sarah che oggi è un'adolescente e non ha mai conosciuto suo padre. E' stata l'emozione più forte della mia carriera di interprete, sapere di dover restituire la verità su quell'uomo". Stessa emozione anche per Jake Gyllenhaal e Josh Brolin che hanno sentito molto il peso della responsabilità. "Speriamo che quando le persone coinvolte vedranno il film possano riconoscersi. Mi sono chiesto tutto il tempo se quello che facevo fosse giusto", ha detto Brolin. "Interpretare questo personaggio mi ha fatto provare una grande responsabilità. Quando i figli di Scott Fischer mi hanno contattato direttamente è stato molto emozionante", ha raccontato Gyllenhaal, "Erano preoccupati dell'immagine che avrei restituito di loro padre, incontrarli mi ha permesso di vedere il mio personaggio attraverso i loro occhi. Ho cercato di rappresentarlo non attraverso le caratteristiche fisiche, che comunque abbiamo studiato, ma con l'essenza del personaggio e spero di esserci riuscito". Emily Watson invece ha raccontato che per prepararsi al suo personaggio ha parlato spesso con al vera Helen (assistente di Rob Hall): "Mi ha fatto ascoltare le registrazioni delle loro conversazioni telefoniche, è stato come toccare con mano la verità".

Il film, che vede nel cast anche Keira Knightley e Robin Wright, è stato presentato in anteprima mondiale ed è stato accolto in modo positivo, con delle recensioni abbastanza buone.

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Si è tenuta oggi la conferenza stampa della giuria del Concorso, che vede Alfonso Cuarón come presidente, con lui ci saranno Elizabeth Banks, Diane Kruger, Emmanuel Carrère, Hou Hsiao-hsien, Francesco Munzi, Pawel Pawlikowski, Lynne Ramsay e Nuri Bilge Ceylan.

"Non ho una idea precisa di quello che vorrei vedere o premiare, ma penso sia giusto così. Mi avvicinerò ai film con innocenza, e con la stessa innocenza voglio essere sorpreso", ha dichiarato Cuarón.

Il Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera ha annunciato che verrà fatto un omaggio a Wes Craven, scomparso pochi giorni fa, sabato 5 settembre a mezzanotte, in sala Darsena, verrà proiettato gratuitamente, sia per la stampa che per il pubblico, Nightmare. "Renderemo omaggio a un grande regista, con un grande film. La proiezione sarà aperta a tutti, spargete voce", ha dichiarato Barbera.