lunedì 2 febbraio 2015

Still Alice - la recensione

Tratto dal romanzo “Perdersi” scritto da Lisa Genova, Still Alice accompagna lo spettatore nelle dure avversità di una delle malattie più debilitanti che l'uomo conosca: il morbo di Alzheimer.

Alice Howland (interpretata da una splendida Julianne Moore) è una donna orgogliosa, intelligente, salda e un pilastro fondamentale della famiglia, a cui verrà diagnosticata una forma presenile di questa terribile malattia che, passo dopo passo, la porterà ad essere sempre meno libera ed indipendente.
I registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland ci accompagnano con una struggente eleganza attraverso la regressione fisica e soprattutto mentale di una donna forte che inevitabilmente inizia a percepire un baratro davanti a sé. I rapporti della famiglia subiranno un duro colpo, colpo che Alice non potrà controllare.

La delicatezza e la schiettezza di un dramma tutt'altro che scontato sono gli elementi chiave che senza perder tempo ci faranno entrare a contatto con le diverse visioni di un nucleo famigliare alle prese con una realtà complicata e sfaccettata. A fronteggiare la fragilità psicologica di Alice ci saranno il marito (Alec Baldwin) e i tre figli: la realizzata Anna (Kate Bosworth), Tom (Hunter Parrish) e l'incerta Lydia (Kristen Stewart), l'unica che tenterà in qualche modo ad affievolire le pene della madre grazie all'amore e alla comprensione.

Troppo spesso ci ritroviamo a dare per scontato il nostro “essere” senza pensare che da un momento all'altro potremmo svanire nel nulla, senza ricordi, senza l'elemento che ci contraddistingue dagli altri esseri viventi e o pensanti. L'umanità, le emozioni: cosa significa vivere?

La storia di Alice fa riflettere ed emozionare senza quei pretenziosi elementi che di solito caratterizzano questo tipo di pellicole. Sicuramente non si può considerare un prodotto originale, o unico nel suo genere, ma in ogni caso riesce a lasciare un segno, per quanto duro possa essere.

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