martedì 25 febbraio 2014

Oscar 2014: Nebraska - la recensione

 "E' un paese per vecchi" potrebbe essere il sottotitolo di Nebraska, elidendo la negazione dal film dei fratelli Coen. Perchè nell'ultimo film di Alexander Payne sono gli anziani a farla da padrona, in una cittadina in cui l'unico "giovane" è un figlio quarantenne che fa da spalla ad un padre ottantenne. Metafora forse di un America ormai vecchia e decadente ?
E' la storia di Woody Grant, padre e marito che ormai vive gli acciacchi di una vecchiaia ben inoltrata. Woody  è disilluso da tutto, con un bel problema con l'alcol e che con la testa non c'è più tanto. Ormai si lascia vivere, sfiancato, come in attesa del suo ultimo giorno. Finchè un mattino si illude di aver vinto un millione di dollari, si tratta in realtà di una palese trovata pubblicitaria stampata su un volantino. La faccenda però accende una luce nuova negli occhi del vecchio Woody, tutto sembra riacquistare un senso, finalmente la vita gli serba all'orizzonte un nuovo obbiettivo: andare nella città di Lincoln a saldare la vincita. Meta lontana non pochi chilometri dal Montana, dove Woody vive con la sua famiglia. Il figlio proverà a dissuadere il padre, ma sistematicamente nel cuore della notte arriva la solita chiamata da parte della polizia secondo cui Woody, imperterrito, è stato trovato avventurarsi, solo e a piedi, verso la cittadina.
Non rimane che assecondarlo e decide di accompagnarlo in macchina fino a Lincoln, comincia così il lungo viaggio di una padre e un figlio...


Per "Nebraska" Alexander Payne mette da parte grandi star come George Clooney, mette da parte le produzioni più "consistenti", sceglie infatti una via molto indipendente, optando perfino su una fotografia in bianco e nero che "colora" il film con tinte intime e nostalgiche. "Nebraska" è un piccolo film che ha il profumo dell'opera prima di un talentuoso regista, ma non è un'opera prima, anzi è ben il settimo lungometraggio di Payne, nato a Omaha in Nebraska. E proprio come alcuni piccoli film girati da talentuosi registi "Nebraska" è il classico esempio di piccolo-grande film.
Payne sceglie dei toni tragicomici nel raccontare l'avventura on the road del suo protagonista (interpretato da un clamoroso Bruce Dern, giustamente candidato all'Oscar), si sorride e ci si commuove. E' un epopea che viaggia sui binari del ricordo e della memoria, alla riscoperta delle proprie radici, mantenendosi profondamente legata al tema della famiglia e concentrandosi sui rapporti presenti nel nucleo familiare, con uno sguardo deciso sulla relazione padre-figlio. Il buon vecchio Woody somiglia un pò ad un Ulisse odierno che intraprende una pacata odissea verso la sua Itaca, dove sono rimasti ad aspettarlo parenti, amici e conti in sospeso.
Si capisce subito che "Nebraska" è un film che ha dimestichezza nel gestire la materia di base, affinché il prodotto finale sia solido il più possibile. Rigorosa, equilibrata, pulita, la narrazione va avanti per la propria strada senza mai  inciampare e perder di ritmo, con scioltezza, regalandoci simpatici siparietti e bei momenti di cinema, mantenendo una giusta armonia tra cinismo e buoni sentimenti, tra leggerezza e riflessione, e sopratutto offrendo una vasta gamma di valori e virtù. Ne esce così un quadro sociologico non scontato, quasi unico, di certo intelligente.
"Ha l'Alzheimer?" viene chiesto a David nel finale a proposito del padre. "No, crede soltanto alle cose che la gente gli dice" risponde lui. "Oh, che peccato!". Una chiusa che innalza il discorso di Payne su un livello ben più alto, che sembra guardare all'America tutta.


Voto:  **** / *****

Mr.Carrey

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